1^ Domenica di Avvento


 Lettura 
Lettura del profeta Isaia 13, 4-11 

In quei giorni. Isaia disse: «Frastuono di folla sui monti, simile a quello di un popolo immenso. Frastuono fragoroso di regni, di nazioni radunate. Il Signore degli eserciti passa in rassegna un esercito di guerra. Vengono da una terra lontana, dall’estremo orizzonte, il Signore e le armi della sua collera, per devastare tutta la terra. Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; esso viene come una devastazione da parte dell’Onnipotente. Perciò tutte le mani sono fiacche, ogni cuore d’uomo viene meno. Sono costernati. Spasimi e dolori li prendono, si contorcono come una partoriente. Ognuno osserva sgomento il suo vicino: i loro volti sono volti di fiamma. Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminarne i peccatori. Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce. Io punirò nel mondo la malvagità e negli empi la loro iniquità. Farò cessare la superbia dei protervi e umilierò l’orgoglio dei tiranni».

Al tempo del profeta Isaia (sec VIII) Babilonia non aveva un particolare significato militare ed era soggetta agli Assiri. Questo testo, di lotta e di sconfitta dei babilonesi, è molto più vicino agli avvenimenti del sec VI quando Babilonia fu distrutta da Ciro, persiano, nel 539 a.C. E’ perciò un testo scritto, probabilmente dal terzo Isaia che trasfigura tale avvenimento bellico in un castigo che il Signore infligge a Babilonia mentre Babilonia diventa l’immagine simbolo di ogni potere dispotico. E’ perciò una rilettura teologica di un avvenimento che aveva suscitato stupore in Israele.
Babilonia viene rappresentata come capitale di una grande potenza mondiale pagana, contraria a Dio e disumana. La sua fine dimostra che il Signore irrompe nella storia del mondo con il suo “giorno del Signore”, portando le situazioni catastrofiche della distruzione.
I vv.2-5 raccontano  i preparativi della battaglia decisiva e i combattenti sono considerati i “consacrati”,  truppe di Dio e giustizieri a sua volta: “Io ho dato un ordine ai miei consacrati; ho chiamato anche i miei prodi a strumento del mio sdegno, entusiasti della mia grandezza”. (v. 3). Sono i soldati delle tribù di Israele che combattono la battaglia di Jhwh. Essi, prima di partecipare alla guerra, si sottoponevano a determinati riti e dovevano osservare norme specifiche, compresa l’astinenza sessuale (Deuteronomio 23,10-15). Il Signore, con il suo popolo purificato, combatte per liberare il mondo dalla tirannia e dall'oppressione.
Il racconto descrive l'angoscia e il terrore delle vittime, prima ancora che l'esercito del Signore si sia messo in marcia (vv.6-8). E’ l’espressione della paura e il riconoscimento che veramente Dio è grande  e che solo lui è capace di potere e di potenza sulla terra.
Inizia quindi la narrazione del manifestarsi del Signore e le conseguenze catastrofiche che egli porta (vv. 9-16) ma il testo merita di essere letto per intero fino al v 22.
Con questa garanzia di presenza e di sostegno si apre il “giorno del Signore” che diventa, in questo caso, garanzia e liberazione per il popolo oppresso. Dio, che è il Signore dell’universo, interviene con tutta la sua potenza, arrivando a coinvolgere le stelle, il sole e la luna. Si descrive, attraverso immagini drammatiche, la rovina che realmente cade su questa città, orgogliosa e tiranna sui popoli. Il messaggio, che si vuole trasmettere, è di fiducia e di garanzia della presenza di Dio che non permette ai potenti di arrivare a compiere il male contro il suo popolo. E comunque, chi sviluppa violenza e opprime gli altri, è destinato al fallimento. Alla fine la potenza di Dio esplode nella liberazione.

Epistola 
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 1-11a 

Fratelli, fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto.


La collocazione di questo brano, nella liturgia della 1° domenica di Avvento, suggerisce ai credenti che vivono nella storia del mondo, di essere lievito e luce, sale e sapienza, presenza coraggiosa e generosa.
In una storia che si imbastardisce in male, violenza e dissoluzione, i cristiani sono chiamati alla novità, a non lasciarsi travolgere. Essi, che vivevano con gli stessi criteri e la stessa mentalità dei pagani, se ne possono rendere conto. Ora sono stati salvati dal Signore e immessi in una comunità e in una luce nuova: sono un corpo solo, la famiglia di Dio. Sono costituiti in unità con "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo… un solo Dio e Padre di tutti" (Ef 4,5-6), e quindi costituiscono l'unità del corpo di Cristo (4,1-16). Viene quindi logico il confronto tra il comportamento precedente alla conversione dei cristiani di Efeso e la nuova vita secondo Gesù (Ef4,17-24). Continuando questa riflessione, non ci si può dimenticare una particolare responsabilità nella stessa comunità che esprime, insieme, la ricchezza dei doni dello Spirito e la tensione verso una unità più profonda (4,25-32) Così il testo del cap. 4 è un buon antefatto che ci aiuta a cogliere il messaggio di oggi. Paolo, infatti, finisce, raccomandando la benignità, la misericordia “e perdonandovi a vicenda come anche Dio, in Cristo, ha perdonato a voi” (4,32).
Si capisce, allora, il successivo incoraggiamento che leggiamo oggi: “Fatevi, dunque, imitatori di Dio quali figli carissimi”. L’impegno suggerito è una scelta progressiva, “camminando nella carità”. Il camminare è un tipico linguaggio ebraico che traduce “un comportamento, un seguire una data norma”. E la misura, questa volta, non è solo legata alla fede nel perdono del Padre, ma si dimensiona sull’esempio concreto di Gesù che si è offerto al Padre per la nostra riconciliazione.
Paolo tiene ad esplicitare un comportamento coerente, specificando che “la prostituzione, ogni impurità, in genere, e l’avarizia” (5,3) vanno identificate come idolatria e quindi rifiuto del vero Dio: “Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio” (5,5). Comportarsi secondo queste scelte non costituisce solo sbaglio o cattivo comportamento, ma diventa una vera forma di culto idolatra perché è una totale  offerta di se stessi al denaro o ad alcune creature, come se fossero Dio.
Ci sono anche preoccupazioni di correttezza nel linguaggio (“volgarità, insulsaggini e trivialità”) che non fa riferimento solo a buona educazione ma a”cose sconvenienti” che banalizzano e “sporcano” la realtà, riconducendola a “ogni specie di impurità”. L’alternativa è il rendere grazie.
Solo in questo modo ciascuno qualifica una presenza dignitosa e coerente che vive con semplicità e gratitudine la propria esistenza, sa accorgersi della presenza di Dio e dei suoi doni e accoglie ogni persona con stima e rispetto. Sul linguaggio Paolo si ferma molto poiché per ciascuno è questo il primo e il proprio modo di presentarsi, è lo svelamento di ciò che siamo, è l’immagine della propria interiorità. La correttezza, il significato delle parole, la discrezione (“neppure si parli tra di voi come dev’essere tra santi v.3”), la lealtà, la serietà di contenuto e la non vuotezza qualificano uno stile e una dignità non comune, riferimento alla somiglianza con Dio ed alla santità che è stata offerta perché “siete luce nel Signore”.
Il dono del battesimo ci ha resi “luce” (Col1,12: “Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce”). Rigenerati dalla forza di Dio, Paolo ricorda che la vita deve giungere alla conclusione di operosità e concretezza. E parla di “frutti”: “Ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità…. le opere delle tenebre non danno frutto” (vv 9-11). Anche Gesù concludeva con i frutti: “Fate dunque un frutto degno della conversione” (Mt 3,8).
“Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Mt3,10).

Vangelo 
Lettura del Vangelo secondo Luca 21, 5-28 


In quel tempo. Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».


La liturgia dell’Attesa del ritorno del Signore include non solo la certezza della venuta nella nostra storia, che celebreremo a Natale, ma anche la speranza di incontrarlo un giorno al termine della nostra vita terrena e alla fine dei tempi.
Il testo del vangelo di oggi che Luca ci presenta con i toni apocalittici di un linguaggio che spesso per noi è astruso, ma che allora (e non solo allora) rilevava la problematicità drammatica e contraddittoria della storia e della presenza del Signore in essa e ne proponeva la risoluzione in termini di lotta tra bene e male, e quindi di giudizio, ci propone una visione tragica del mondo e dell’uomo in balia della difficoltà a rimanere fedeli.

Ci sono però alcuni spiragli mi sembra, che possono farci riflettere: in mezzo al garbuglio di distruzioni, oppressioni, violenze, distruzioni, pestilenze, false profezie, c’è questa parola -“neppure un capello del vostro capo andrà perduto”- .
C’è l’assicurazione di una presenza, di un sostegno, di un suggerimento: “io vi darò parola e sapienza”. Come a dire: io sarò con voi a sostenervi nella testimonianza che avrete occasione di dare.
Mi piace pensare che qui testimonianza voglia dire ‘fedeltà’, ‘fiducia’, possibilità di riscattare la vita su un orizzonte di salvezza, di liberazione.

E infatti Gesù parla proprio di ‘liberazione’: in mezzo a tutto il travaglio della storia e al male che sembra prevalere violentemente sul bene, in mezzo al dilagare del dolore di fronte alle morti e ai mali che colpiscono anche i singoli -e non solo i popoli in guerra- ci dice “Io sono con voi”.
Per questo possiamo ‘risollevarci’ e ‘alzare il capo’, perché sappiamo che la nostra ‘liberazione’ o, se vogliamo, la nostra gioia, può non venire meno anche in mezzo alle tragedie più nere, più sconvolgenti.
E allora possiamo iniziare questo tempo di Avvento con rinnovato coraggio e volontà di testimoniare, cioè di rendere credibile con la nostra fiducia in Lui, che dobbiamo guardare avanti e riprendere il cammino con la gioia di saperci comunque accompagnati.
Essendo luminosi come questi alberi d’autunno accesi di bellissimi colori che dicono bellezza e rassicurano sulla speranza e sulla gioia di vivere.

Sono come il sorriso di Dio che rischiara ogni tenebra e rende preziosa ogni lacrima.