LETTURA
Lettura del profeta Gioele 2, 12b-18
Così dice il Signore Dio: / «Ritornate a me con tutto il cuore, / con digiuni, con pianti e lamenti. / Laceratevi il cuore e non le vesti, / ritornate al Signore, vostro Dio, / perché egli è misericordioso e pietoso, / lento all’ira, di grande amore, / pronto a ravvedersi riguardo al male». / Chi sa che non cambi e si ravveda / e lasci dietro a sé una benedizione? / Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. / Suonate il corno in Sion, / proclamate un solenne digiuno, / convocate una riunione sacra. / Radunate il popolo, / indite un’assemblea solenne, / chiamate i vecchi, / riunite i fanciulli, i bambini lattanti; / esca lo sposo dalla sua camera / e la sposa dal suo tàlamo. / Tra il vestibolo e l’altare piangano / i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: / «Perdona, Signore, al tuo popolo / e non esporre la tua eredità al ludibrio / e alla derisione delle genti». / Perché si dovrebbe dire fra i popoli: / «Dov’è il loro Dio?». / Il Signore si mostra geloso per la sua terra / e si muove a compassione del suo popolo.
Il libro di Gioele sviluppa una
nuova prospettiva di speranza, partendo dalla desolazione della natura
sconfitta. Infatti si apre con un lamento sulla devastazione del paese, invaso
da cavallette (1,2-12). Ma perché la situazione abbia una via d’uscita, sono
necessarie penitenza e preghiere per affrontare i drammi del giorno del
Signore. (1,13-2,17).
Non è Dio che gode a mandare castighi, ma la vita comporta
spesso drammi e sconfitte. Proprio questi avvenimenti obbligano a scendere in
profondità nella nostra vita e ci impegnano a ritrovare i sentimenti veri, i
pensieri più profondi e sinceri. E se la tradizione e la disperazione ci fanno
“lacerare” i vestiti che nascondono malattie e piaghe per mostrarci a Dio nella
nostra nudità senza infingimenti, né ipocrisie, il profeta ci invita a
“lacerare il cuore”. Infatti il Signore è generoso, sa leggere i nostri
pentimenti e le nostre paure. “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate
al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira,
di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male". Quello che va
fatto è il prendere tutti coscienza del bisogno del cambiamento. Vi si debbono
impegnare i vecchi e i giovani, i fanciulli ed i bambini lattanti, gli sposi e
le loro famiglie.
Anche i sacerdoti, che stanno continuamente nel tempio e,
disorientati piangeranno sulle tragedie che si compiono, anch’essi debbono
pregare e supplicare il Signore per il male che verifica e per i peccati che
compiamo ogni giorno.
Senza questa apertura di cuore e questa preghiera, tutto il
paese, che è sotto la protezione di Dio, viene condannato alla derisione ed al
ludibrio. Resta infatti nel giudizio dei popoli perfino il sospetto che non ci
sia un Dio attento a questo popolo. Eppure Dio ama questo popolo e lo ha
dimostrato. E’ amato più di tutti, fino alla gelosia e nessuno può permettersi
di mettere in dubbio questa predilezione e questa grandezza.
Il peccato che viene imputato è, in ogni caso, l’opacità
dello sguardo che non è più puro e sa apprezzare solo lo star bene, il danaro
ed il potere. Il benessere porta con sé l’allontanamento da Dio. E’ la
raccomandazione che Mosè fa al suo popolo, prospettando il tempo
dell’insediamento e della stabilità: “Quando avrai mangiato
e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato,
quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi
il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si
inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire
dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile;” (Deut8,12-14).
EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 9, 24-27
Fratelli, non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato!
Paolo sta sviluppando un suo
pensiero che nasce da problemi di comunità e che lo portano a dover inventare
comportamenti impensabili solo qualche anno prima. Al cap 8 affronta, infatti, il problema della
carne di animali offerti agli idoli e il comportamento dei cristiani. Dice:
“Gli idoli non esistono” e quindi è possibile mangiare carne offerta agli idoli
senza problemi, a meno che ci si trovi
di fronte ad una persona “ debole” che si possa scandalizzare, non capendo il
tuo comportamento. “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non
mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello” (1 Cor8,13).
Per il bene del fratello bisogna
rinunciare anche ai propri diritti personali. La carità non cerca il proprio
benessere ma il bene degli altri (13,5). E per aiutare a capire, Paolo porta,
in una sua testimonianza personale,
l’applicazione di questi principi. Infatti egli non si avvale del
diritto che gli compete, come apostolo, di essere mantenuto a spese della
comunità e questo avviene per l’edificazione della Comunità stessa, “per non
essere intralcio al Battesimo” (v 12). Del resto è quello che avviene nel mondo
greco. Il maestro riceve uno stipendio e viene servito dai discepoli.
In conclusione, quando si fanno
delle scelte, bisogna guardare all’essenziale. Come nello stadio.
Spesso Paolo utilizza esempi
sportivi poiché lo sport entusiasma un po’ tutti e, quando era giovane,
probabilmente si allenava in qualche esercizio. A Corinto si svolgono i giochi
dell’Istmo in onore di Poseidone. Molto famosi, secondi solo ai giochi Olimpici
di Olimpia.
Le gare dello stadio diventano un
interessante termine di paragone. Per Paolo corrispondono all’astensione
volontaria di cose per se lecite (come le carni agli idoli o come il suo
mantenimento nella Comunità) per poter raggiungere il fine più alto a cui tiene
di più: l’edificazione dell’altro. Paolo si rende conto di aver operato con
lealtà e con giustizia nel suo ruolo di apostolato: “Pur essendo libero di
fronte a tutti, mi sono fatto servo di tutti” (9,19), “il mio merito è
predicare gratuitamente il Vangelo” (9,18). Eppure lui stesso sente di aver bisogno della misericordia di
Dio poiché, essere apostolo non garantisce la salvezza per sé. “Dopo aver
predicato agli altri, io stesso non venga squalificato” (9,27).
In sintesi l’impegno di Paolo,
“tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù” (9,27), può essere
riletto nella linea della gratuità. L’esempio dello stadio comporta allora.
-
la scoperta di
uno stile quale l’atleta inaugura e che
lo obbliga ad abbandonare tutto, essendo “disciplinato in tutto” (v 25);
-
per l’atleta la sua fatica non garantisce una vittoria
sicura ma la méta è tale che merita di essere inseguita seppure per una corona
che appassisce” (v 25). Ma a noi il Signore garantisce una corona che dura sempre;
-
il coraggio di operare “gratuitamente” per un premio
che è il benessere e il vantaggio degli altri. Questo deve restare al vertice
dei propri pensieri.
Attenzione, premura, gratuità per
il prossimo: superano e, nello stesso
tempo, garantiscono la parola di cui siamo stati portatori.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 4, 1-11
In quel tempo. Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
A ben guardare, le grandi
tentazioni idolatriche del possesso, del successo e del potere si insinuano
nelle pieghe esistenziali di tutti i giorni, anche i più ordinari e comuni,
perché si tratta del fondamentale
originario desiderio dell’uomo di contrapporsi, anzi di sostituirsi a Dio. Anche
nei più praticanti e devoti. Infatti ciascuno di noi vuole essere riconosciuto,
privilegiato, sentirsi in esclusiva, primeggiare non solo sugli altri, ma anche
di fronte a Dio.
In fondo la tentazione delle
tentazioni è proprio quella della fede, di fronte alla pressante constatazione e accusa che ci
circonda della noncuranza di Dio sulle
sofferenze umane.
E questo vangelo delle tentazioni
di Gesù ci rimanda alla grande prova del Getsemani, quando il deserto è
diventato assoluto e tragico identificandosi con l’abbandono di Dio.
E’ vero che la Parola di Dio
seminata nelle Scritture ci assicura della continua tenerezza, misericordia, vicinanza di Dio, che si
manifesta sollecito e premuroso come un padre e una madre, ma il dolore e le
atrocità che lo causano dilagano da sempre nel mondo -e oggi sembra in un modo
ancor più virulento- , travolgendo ogni senso di pietà e di rispetto per l’uomo
e donna/altro da te, considerato primariamente come un nemico, come un ostacolo
per l’affermazione di un potere e di un primato
Siamo messi a dura prova e spesso la libertà ci gioca dei tiri
subdoli, tanto che ce la prendiamo con il Signore.
Ecco, forse all’inizio di questa
Quaresima, dovremmo sostare a considerare le nostre tentazioni sottili, che
poi si risolvono nel grande dubbio
dell’abbandono di Dio; ma Gesù ci insegna a guardare in faccia qualsiasi
tentazione e prova, rimanendo saldi, anzi aggrappandoci alla fiducia in Lui
Nel silenzio del nostro cuore
siamo invitati a ripensare il nostro rapporto con il Signore e con i nostri
fratelli/sorelle di tutto il mondo, anche di quello a noi più strettamente
vicino, per domandarci se ci fidiamo veramente di Dio e del Signore Gesù, se
sappiamo davvero rintracciare nella Sua Parola l’orientamento per alimentare la
speranza, crescere nell’amore, considerare la fiducia come l’atteggiamento
fondamentale che, a partire da quella in Dio, può cambiare i rapporti e la
nostra partecipazione al mondo.
La domanda-chiave di questo tipo
di conversione potrebbe coinvolgerci in questo senso: la nostra fede è una
fiducia? Il nostro amore è un amore che si fida o conta solo sulla nostra
bontà, sul compiacimento di non essere come gli altri?
Forse la richiesta di perdono
parte proprio da qui.