2^ Domenica di Quaresima (della samaritana)

LETTURA 
Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4a; 11, 18-28
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro. Certamente, se osserverete con impegno tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui, il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. Nessuno potrà resistere a voi; il Signore, vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete. Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».


Mosè, con questo testo, ci offre una riflessione sulle leggi dell’Alleanza che verranno poi scritte nei cap 12-26. Tale riflessione conclude alcune raccomandazioni al popolo che esigono una chiara fedeltà alla legge e quindi alla ubbidienza e al riconoscimento dell’unico Signore. Se sarai fedele verso il Signore, il Signore manterrà i suoi doni che aveva promesso e farà fiorire questo popolo, ponendolo signore di un vasto territorio che va ”dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale” . Questi confini ideali, mai raggiunti da Israele, sono posti anche all’inizio del Deuteronomio quando il Signore dice a Mosè: “Avete dimorato abbastanza su questa montagna; voltatevi, levate l’accampamento e dirigetevi verso le montagne degli Amorrei e verso tutte le regioni vicine... fino al grande fiume, il fiume Eufrate” (Deut 1,6-7).
“Devi ricordarti della legge” e il popolo d’Israele prende come comando, alla lettera, l’obbligo di legarsi alla fronte e sul braccio sinistro piccole capsule di pelle che racchiudono i 4 testi che interessano le prescrizioni (Es 13,1-10. 11-16; Dt6,4-9; Dt 11,18-21). Esistono già ai tempi di Gesù: in greco si dicono filatterie e in ebraico tefillim. E Gesù   rimprovera (Mt 23,5) coloro che operano nel culto con esibizionismo, per farsi vedere dalla gente: “Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange”.
Una scatoletta è posta anche sugli stipiti delle porte: si vuole assicurare il ricordo quotidiano della legge per essere fedeli al Signore. C’è la preoccupazione di vivere il presente e la preoccupazione di preparare il futuro di questo popolo. Il futuro è garantito dai figli e dall’educazione data loro. Essi dovranno maturare  con la costanza e continuità di un adulto educatore (tali sono i genitori maschi), in 4 situazione di vita in cui ognuno è in rapporto con loro (“in casa, in cammino, quando vai a letto e quando ti alzi”).
Il testo è molto esemplificativo, ma anche molto ricco di immagini. Suggeriscono la spiritualità e la quotidianità fedele. Si elencano 5 condizioni che si intrecciano nelle due fedeltà di Dio e degli uomini.. Si vuol dire che non hanno senso il fatalismo, né il destino o la  vendetta e le catastrofi inspiegabili:
Si parla di 5 condizioni, come i 5 libri della ”Legge”:
- custodire con fedeltà tutti questi comandamenti di Dio,
- metterli in pratica,
- amare Dio,
- camminare in tutte le sue vie,
- tenersi uniti a Lui.
Benedizione o maledizione, gioia o tristezza non sono stati stabiliti da Dio ma dipendono dalla libera volontà di ciascuno (vv26-28)

EPISTOLA 
Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 6, 1-10
Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo. Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso. Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello. Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.

 Paolo sta concludendo la sua lettera ai Galati, avendo lungamente impostato la sua riflessione sulla libertà dei figli di Dio e sulla “vita secondo lo Spirito”. Ora, in queste ultime battute, aiuta a maturare la scelta di un comportamento pratico corrispondente (5,25-6,10). Questi suggerimenti risentono di grandissima umanità. Fanno  trasparire nell’atteggiamento del credente molta serenità e fiducia  e consigliano, nella situazione, atteggiamenti di non violenza e di grande rispetto ed equilibrio. Incoraggiano stili alternativi, nuovi anche nel nostro tempo, visti i comportamenti di contrapposizione e di egoismi spesso emergenti. Tanto più allora. Ma ormai la lunga riflessione su Gesù e l’esperienza della conversione aprono a Paolo orizzonti assolutamente nuovi.
Sarebbe interessante se  tali indicazioni e proposte si applicassero, ad esempio, in azienda, ripensati ed affrontati da un lavoratore singolo, o meglio, da un gruppo di credenti che operano in una impresa.
- Correggere con dolcezza in caso ci si trovi con un fratello che si comporta male nei suoi obblighi morali,  tenendo però  presente, nel contempo, che ciascuno, nella propria fragilità, può compromettersi allo stesso modo. Questo impedirebbe la critica alle spalle, il rifiuto ed il disprezzo, la volontà di mettere in cattiva luce l’altro,.
- Ricuperare nelle relazioni sociali discrezione ed umiltà, evitando la supponenza.
- Saper ascoltare.
- Accorgersi concretamente delle fatiche dei colleghi prestandosi, in un loro sovraccarico di lavoro, di dare una mano se l’altro accetta, ma senza contropartite, gratuitamente.
- Mettere in comune le difficoltà con altri colleghi per cercare insieme soluzioni per situazioni altrui o nostre. Verificare le proprie competenze e ricercare un aggiornamento personale per soluzioni migliori per tutti.
- Riconoscere pubblicamente miglioramenti che vengono da colleghi e valorizzarli.
- Importante è seminare; è questo che si raccoglierà,
- Seminare nello Spirito (è un tema che riguarda la vita quotidiana) significa sviluppare con intelligenza la gratuità.
- Non smettere di fare il bene significa non smettere di seminare, senza accettare le discriminazioni, le delusioni, le furbizie di chi vuole approfittarne..
Perciò il bene verso tutti, soprattutto ai propri fratelli e sorelle, è il segno di una concretezza di fede e di capacità di relazione che nasce da Dio e arriva al mondo, nella mediazione della Chiesa.

VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 4, 5-42 In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».



Si meravigliarono i discepoli che Gesù parlasse con una donna, per di più samaritana; a quei tempi era assolutamente sconveniente che un uomo, soprattutto un rabbi parlasse ad una donna in pubblico.  E questa poi è dell’aborrita gente dei samaritani.

Oggi invece è sorprendente il fatto che Gesù intavoli con lei, donna di nessuna pretesa
sociale, anzi di dubbia fama, una conversazione ad alto livello teologico.
Come a dire che l’interrogativo su Dio appartiene a tutti; è in fondo al cuore di tutti, anche se la domanda può essere sopita o soffocata.
Ci vuole però un incontro che esprima e sottolinei un’attesa, un bisogno anche da parte del Signore: ”Dammi da bere”.  Si deve andare, a nostra volta al pozzo di Giacobbe per attingere l’acqua di vita. Anche se ad un’ora anomala; ma non c’è un orario fisso per incontrare Dio.

Certamente Giovanni costruisce questo episodio secondo la prospettiva del suo vangelo, finalizzato sempre ad una più trasparente  rivelazione di Dio, ma è importante avvertire che il desiderio di conoscere Dio appartiene a tutti, è alla portata di tutti.
Purchè ci sia un incontro determinato da una “sete”: sete di Gesù di un contatto umano, sete della donna che avverte il bisogno di chiarire con questo personaggio singolare che è Gesù che l’attende al pozzo, ciò che le si agita nel profondo del cuore, che è il bisogno di Dio.
 
Di un Dio al di là delle definizioni teologiche o delle polemiche cultuali, ma che si presenta come interiorità e mistero profondo attraverso le parole di Gesù.
Sono parole di luce, quelle di Gesù, che di colpo innalzano il cuore oltre le piatte e anguste formule che sanno di giudizio e di separazione, di luoghi circoscritti.

“Ma viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.” Dio è spirito e verità, cioè amore, soffio di vita, roccia (la parola ‘verità’ in ebraico è espressa dal termine che indica appunto ’roccia’ di fedeltà e di saldezza), mistero che va attinto attraverso le profondità del cuore e della mente, nella inesauribilità di una relazione dal sapore di un incontro voluto da sempre dal Signore Gesù.
Ed è questo il momento di far chiarezza, di non indugiare, di uscire allo scoperto, perché la vita di Dio zampilli nella nostra vita come volontà di speranza e di fiducia, consapevoli di sentirsi attesi, senza timore di sentirci scoperti nelle nostre debolezze e nei nostri maldestri tentativi di amore.