2^ Domenica dopo Pentecoste


LETTURA 
Lettura del libro del Siracide 18, 1-2. 4-9a. 10-13 
Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. / Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. / A nessuno è possibile svelare le sue opere / e chi può esplorare le sue grandezze? / La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? / Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? / Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, / non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. / Quando l’uomo ha finito, allora comincia, / quando si ferma, allora rimane perplesso. / Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? / Qual è il suo bene e qual è il suo male? / Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. / Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, / così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. / Per questo il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. / La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente.

Abbiamo letto un bellissimo inno, che celebra la sapienza e la grandezza di Dio, e viene dopo l’invito alla conversione: “Ritorna al Signore e abbandona il peccato, prega davanti a lui e riduci gli ostacoli. Volgiti all’Altissimo e allontanati dall’ingiustizia” (17,25-26). Il Signore è misericordioso e la grandezza di Dio si mette a confronto con la fragilità degli esseri umani. E poiché Dio è grande, egli è ancor più compassionevole e  generoso.
In questa attenzione ad una umanità povera e tuttavia chiamata a conoscere il vero Signore, si svolge il richiamo della creazione. Ci troviamo così, tutti noi, davanti alla sua misericordia, capace di intrecciare l'universo e la nostra povera generosità che, a malapena, riesce a perdonare solo chi gli è più vicino.
Si risente l’influsso della cultura greca che l’autore conosce, ma ancor più della cultura ebraica che valorizza e ama, rivelatrice di rapporti impensabili tra i popoli pagani.
L’autore del libro: "Gesù, figlio di Sira", e quindi Siracide, è stato detto anche Ecclesiastico (dal "libro da leggere nell'assemblea") ha, probabilmente, scritto questo libro nei primi decenni del II sec. a.C., destinandolo agli Ebrei che sperimentano, nella loro terra, la dominazione della cultura greca dei Tolomei prima e dei Seleucidi dopo. Composto originariamente in lingua ebraica, il Siracide si è conservato completo soltanto nella versione greca. E quindi, proprio per la sua diffusione in lingua greca, non lo si è riconosciuto nella Bibbia ebraica. Perciò è detto “deuterocanonico”, presente solo nell’elenco dei libri, riconosciuti ispirati, dei cattolici. Non è presente nell’elenco ebraico, né nell’elenco delle confessioni cristiane protestanti.
C’è la meraviglia di una presenza di popolo che il Signore ha scelto e che sa intravedere le opere di Dio che, però,  non si possono né misurare né raccontare. E tuttavia, da questa penetrazione sapiente nasce l’interrogativo fondamentale della nostra intelligenza: chi siamo noi, a che cosa serve la nostra vita, quali sono i significati e la differenza tra bene e male? (v 7).
Il Siracide percepisce che tra il peccato dell’uomo e la bellezza e potenza di Dio sta la libertà umana che deve maturare nel discernimento: esso nasce dagli interrogativi fondamentali a cui non si può sfuggire.
Ci troviamo di fronte ad una grande lezione di dignità umana adulta: il mondo è bello, noi siamo fragili, Dio è misericordioso, ma noi siamo chiamati a capire, a interrogarci, a reggere, a cambiare, ad essere fedeli. Allora, mentre accettiamo di “aver misericordia per il nostro vicino”, scopriremo e gioiremo che Dio è misericordioso “verso ogni vivente”. Queste aperture universalistiche si ritrovano in testi recenti dell’AT: “E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?» (Giona 4,11).
 “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Salmo 145,9).
E ancor più carico il testo di Sapienza: “Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l'avessi voluta? Potrebbe  conservarsi ciò che da te non fu chiamato all'esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita” ( 11,25-26). E’ il testo dell’invito alla comunione con il Signore nella bellezza del creato, nella pienezza dell’umanità in cammino e nella profondità della misericordia. Sono le linee della pace.

EPISTOLA 
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 18-25
Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Il cap.18 contrappone la legge dello Spirito e la legge del peccato e della carne. Coloro che sono in Cristo, sono uniti a Lui che ha offerto la sua vita e che quindi, con la sua morte, ha distrutto il nostro peccato e la nostra debolezza. Lo Spirito di Gesù ha strutturato in noi una rettitudine morale di fronte a Dio e ci ha offerto la vita di figli di Dio, costituendoci in una rettitudine morale la cui pienezza si raggiungerà con la risurrezione dei corpi. Così " Voi – dice Paolo rivolgendosi ai cristiani di Roma - non avete ricevuto uno Spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (vv. 15-16).
La fatica del vivere ed operare con fiducia nella linea che Gesù ci offre, ci sarà ricompensata in pienezza, anzi in sovrabbondanza. Non è paragonabile  alla gloria futura.
Nel maturare questa attesa e questa presenza carica di speranza e di novità su cui Cristo ci garantisce con la sua vita, sentiamo che dalla nostra fedeltà dipende anche l’aspettativa del creato. Si parla di uno strano destino e di una misteriosa comunione tra noi e il creato attorno a noi. Per il male che portiamo nel cuore anche il creato è stato travolto e, come noi, aspettiamo la liberazione. Anche la realtà creata attende una sua liberazione che la riporti allo splendore della creazione, come è uscita dalle mani di Dio.
Il male, l’orgoglio, l’egoismo, la rapina, la furia omicida e distruttiva hanno condannato questa nostra terra a subirne le conseguenze e le lacerazioni si percepiscono via via: viene minacciata la fertilità della terra, la purezza dell’acqua, la sanità dell’aria. Si minacciano le colture, si inaridiscono le sorgenti, si avvelenano i mari, si desertificano le pianure e le foreste. Si moltiplicano i terremoti, le inondazioni, gli incendi boschivi, le stragi di animali. Si allontana sempre più quell’esclamazione che si ritrova alla fine della creazione dei sette giorni. “E Dio vide che era molto buono” (Gen1,31).  E insieme manca il lavoro eppure ci sarebbe un gran bisogno di operosità per riportare ordine e sicurezza, per rendere stabili le montagne che non franino sulle case e sulle strade, per regolamentare i corsi d’acqua e rendere solide le abitazioni, evitando distruzioni e morti. Il Signore ci chiede il coraggio della non violenza, la forza della solidarietà, la misericordia verso chi sbaglia, il riconoscere dignità ai poveri offrendo loro un impegno  che li renda, essi stessi,  portatori di sostegno agli altri. Paolo invita a non disperare e a non interpretare il grido di dolore del creato come quello di un morente. È piuttosto simile a quello della partoriente che sta per dare alla luce una nuova vita.
Ma questo avviene se i credenti incoraggiano, non si abbattono, ma recuperano fiducia, energia, responsabilità per rendere la stessa creazione migliore, superando la fame, la sete, la miseria e ripulendola dagli inquinamenti già avvenuti o che potrebbero avvenire, perché rispettosi della bellezza che Dio ci ha offerto come dono a tutti.
E lo sguardo sul mondo diventi carico di speranza, capace di intravedere ancora la bellezza,  fiduciosi.
Gioca, qui, un ruolo preziosissimo,  l’impegno educativo che nasce dalla testimonianza, dalle motivazioni oneste e mature, dalle solidarietà allargate soprattutto a chi è a rischio di solitudine. La Parola di Dio porterà a compimento la nuova creazione, poiché insieme ci sentiamo coinvolti in progetti vivi e nuovi per tutti gli uomini che diventano  nostri vicini di casa..

VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Matteo 6, 25-33 
In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
 

Sempre questo testo evangelico allarga il cuore, perché ci fa spaziare nella infinita e sconfinata ‘provvidenza’ di Dio, nella sua cura affettuosa perché le sue creature, tutte, abbiano di che alimentarsi e rivestirsi di bellezza.
E’ il dono di Dio, che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli del cielo.  E voi, uomini, non valete più di loro?  Perché vi affannate e rincorrete le vostre ansie, attestando in questo modo la vostra sfiducia nel Padre?
Così sembra richiamarci Gesù.

Ovviamente non si tratta di rimanere con le mani in mano ad aspettare dal cielo quanto serve per vivere; ovviamente qui Gesù sta parlando dell’affanno, della cupidigia, dell’ansia di accumulo, che distoglie lo sguardo dalla generosità di Dio e da un più profondo richiamo di Gesù.

In realtà, qui sembra di sentir risuonare un rimprovero ben più significativo: è proprio l’accaparramento di beni e di risorse, di ricchezze e di superfluo da parte di alcuni che crea il dislivello nei confronti di chi non ha di che vivere, dei milioni di bambini e di poveri che muoiono di fame, di chi si trascina tra stenti e malattie.  Per non parlare delle guerre e dei disastri inerenti.

Come se Gesù si preoccupasse di ristabilire per tutti la parità di diritto a vivere, la dignità e bellezza, la gioia della vita e la possibilità di sognare, riuscendo a condividere e a farsi carico gli uni degli atri.
Dovremmo sentire la portata rivoluzionaria di questo testo e sentirci inquieti finchè sulla terra, che è di tutti, vi sono tante disuguaglianze e prevaricazioni.

Accontentatevi –sembra dire Gesù- di una semplicità di vita che permetta di condividere con tutti, a partire da chi vediamo nel bisogno e nel disagio vicino a noi, i doni del Signore.

Che cosa, altrimenti, vogliono dire le parole “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia?”   
Infatti il regno di Dio è la nuova umanità riconciliata in un sistema di relazioni paritarie, in cui ciascuno si prenda la responsabilità dell’altro, perché l’altro –il debole, il trascurato, l’oppresso- gli sta a cuore.  E la ‘sua giustizia’ è quella che vuole tutti fratelli, perché figli dello stesso Padre.
E fratelli si diventa nella misura in cui ci accorgiamo e ci rendiamo conto che l’altro è amato da Dio come te.

Cercate: Dio non ama la bacchetta magica, non ci vuole inerti e passivi, ma vuole che tutti si diano da fare, perché solo così si diventa consapevoli dell’altro, degli altri che ti interpellano sulla stessa terra donata da Dio a tutti.