3^ Domenica di Avvento



LETTURA
Lettura del profeta Isaia 45, 1-8


Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: / «Io l’ho preso per la destra, / per abbattere davanti a lui le nazioni, / per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, / per aprire davanti a lui i battenti delle porte / e nessun portone rimarrà chiuso. / Io marcerò davanti a te; / spianerò le asperità del terreno, / spezzerò le porte di bronzo, / romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti / e ricchezze ben celate, / perché tu sappia che io sono il Signore, / Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. / Per amore di Giacobbe, mio servo, / e d’Israele, mio eletto, / io ti ho chiamato per nome, / ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, / fuori di me non c’è dio; / ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, / perché sappiano dall’oriente e dall’occidente / che non c’è nulla fuori di me. / Io sono il Signore, non ce n’è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, / faccio il bene e provoco la sciagura; / io, il Signore, compio tutto questo. / Stillate, cieli, dall’alto / e le nubi facciano piovere la giustizia; / si apra la terra e produca la salvezza / e germogli insieme la giustizia. / Io, il Signore, ho creato tutto questo».


Gli ebrei si trovano a Babilonia, deportati dopo la sconfitta e la distruzione di Gerusalemme. Sorge un profeta anonimo per noi, ma conosciutissimo ed ascoltato presso gli esuli che ricordano con nostalgia la città di Dio, Gerusalemme, abbandonata e distrutta (siamo nel sec VI a.C.).. Questo profeta anonimo (che si usa chiamare Secondo Isaia, ma i cui vaticini sono inseriti nell’unico libro di Isaia) rivela ciò che Dio ha riservato per il futuro dei suoi fedeli. Essi ritorneranno, se lo vorranno, poiché un nuovo re, Ciro, re dei persiani, nelle sue campagne militari vittoriose, sta conquistando e sottomettendo i regni dell’Asia Minore e dell’Oriente. Si dirige verso Babilonia, la conquista  senza incontrare resistenza, libera i popoli sottomessi e proclama, con un editto a tutti i deportati, che possono tornare nelle loro terre se lo desiderano. Di fatto non tutti gli ebrei ritorneranno, ma molti si fermano a Babilonia e addirittura vi si istituisce una scuola ebraica famosa nei secoli futuri.
Ciro si presenta come salvatore degli oppressi e difensore dei deboli.
Se la storia racconta queste vicende, l’autore biblico tenta di aiutare ad interpretare i fatti avvenuti, svelando che questo re è un eletto dal Signore, Dio di’Israele, mandato da lui anche se il re non lo sa e non conosce il Dio degli ebrei e quindi attribuisce la sua vittoria al suo Dio e alla sua buona sorte. “Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re (per disarmarli), per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso” (45,1).
L'avere unito insieme il Dio creatore e il Dio che conduce la storia aiuta a capire che "Io sono il Signore e non ce ne alcun altro; fuori di me non c'è dio; ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci" (v5). "Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura" (v7). In questo versetto vengono rilette la natura e  la storia, le tenebre e la sciagura (che pure fanno parte della vita e sono il suo lato oscuro). Ma in tutto questo si intravvede l'apertura della speranza perché Dio è presente: forma la luce e fa il bene.
Nell'ultimo versetto (8) si legge il richiamo alla fecondità che Dio offre: rugiada e pioggia, semi e frutti. Il cielo e la terra si uniscono in questa abbondanza per l'opera di Dio perché il popolo viva in pace. Ci si ricollega, così, al versetto 44,23 e fa da chiusura ad un inno che era cominciato con questo invito: "Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilante, profondità della terra". Là si parla di cieli giubilanti e terra, di monti e alberi; qui si dice “Fecondate il suolo perché il ritorno avvenga nella pace e nell'abbondanza”.
Mi sembra un testo splendido e inaudito per il VT poiché qui è un pagano che viene esaltato a strumento voluto da Dio per liberare e mostrare la sua misericordia. Per giungere a questa intuizione, ci si deve mettere nell’atteggiamento di chi sa della presenza discreta e anonima di Dio che però opera nel mondo e ci offre “segni”: sono i grandi segni della storia e i piccoli segni della nostra vita personale che dobbiamo identificare e interpretare, Vi ricordo un atteggiamento fondamentale che ci ha svelato il Card. Martini per la sua vita interiore.  Da pastore si è chie­sto: “Perche mi si presenta questo problema concreto (un attentato terroristico, una fabbrica che chiude, un prete che intende lasciare l’abito, un politico che ruba, una coppia che vuole conciliare il proprio amore e la possibilità di decidere quando aver figli e quanti, una donna abbandonata dal marito che si è rifatta una vita affettiva e chiede i sacramenti) e la domanda è diventata: che cosa vuole dirmi il Signore mettendomi davanti a tali vicende, e come pensa che io possa essere testimone della speranza e della fiducia che ha posto in me?”  E’ lo stesso atteggiamento di come  il Card. Martini si metteva di fronte alla Scrittura per cercare  risposte. (Marco Garzonio nella sua recente biografia sul Card. Martini).
Ma dovrebbe essere anche il nostro interrogativo nel tempo dell’attesa.

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 9, 1-5


Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.





Il cap 8 è un grande canto di amore e di meraviglia per quanto il Signore ha fatto, ha offerto e sta facendo maturare nella vita di ogni credente. E tuttavia Paolo si sente sconcertato proprio dalla lontananza, nell'insieme, del suo popolo dalla fede nel Signore Gesù.
Questa lettera è scritta a circa 30 anni dalla morte e risurrezione di Gesù e ormai si è profilato con certezza l’atteggiamento complessivo del popolo d’Israele, anche se molti hanno aderito alla fede in Cristo. Il dramma sempre acuto di Paolo fa riferimento al cammino del suo popolo. E lo sconcerto aumenta quando Paolo confronta l’entusiasmo di alcuni pagani che accolgono il messaggio di Gesù e parallelamente deve verificare un distacco ormai incolmabile dai suoi.  Egli dice che accetterebbe persino di diventare un maledetto (“anatema”) se questo potesse servire a qualcosa. E’ la stessa sofferenza che visse Mosè di fronte al tradimento del suo popolo, che aveva costruito nel deserto un vitello d’oro, e addirittura alla stanchezza di Dio che voleva cancellare tutti per ricominciare con Mosé, l’ultimo fedele rimasto, un popolo nuovo. Così Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio: “Ora tu perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32).
Ma dopo Mosè l’esperienza della fedeltà di Dio si è manifestata in modo impensabile e quindi Paolo continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani.
La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un nemico, come spesso è risultato nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta sconcertato del mistero d’Israele e ricorda i segni della predilezione del Signore. Essi sono Israeliti: gli autentici discendenti di Giacobbe-Israele (Gen 32,29). Da questo privilegio scaturiscono tutti gli altri: l’adozione filiale (Es 4,22; cf.Dt 7,6); la gloria di Dio (Es 24,16) che dimora in mezzo al popolo (Es 25,8; Dt 4,7; cf.Gv 1,14); le alleanze con Abramo (Gen 15,1;15,17;17,1), Giacobbe-Israele (Gen 32,29), Mosè (Es 24,7-8); il culto reso al solo vero Dio; la Legge espressione della sua volontà; le promesse messianiche (2Sam 7,1) e, da ultimo, ma è il dono più grande,  l’appartenenza alla stirpe di “Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” (9,5).
Paolo mantiene un atteggiamento di fiducia poiché crede nella misericordia di Dio, mentre, comunque, assiste ad un allontanamento. Eppure è convinto che il Signore opera continuamente ed è capace di capovolgere le cose.
Dovrebbe essere l’atteggiamento che il Signore ci chiede. Ma certo, non va accettata la fiducia come un alibi per rassegnarsi e non fare niente. La nostra operosità stessa sarà dal Signore utilizzata per una maturazione, ma non sappiamo quando, poiché la volontà di Dio non si capisce mai fino in fondo.
Paolo si fida e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli, compreso Israele, nella salvezza.

VANGELO
 Lettura del Vangelo secondo Luca 7, 18-28


In quel tempo. Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la tua via”. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».


C’è una domanda nel Vangelo di oggi molto più attuale di quel che non sembri: Sei tu quello che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro?
E’ Giovanni Battista che dal carcere dove si trova la manda  a dire a Gesù e chiaramente allude all’attesa del Messia.  Difatti Gesù risponde rifacendosi alla profezia di Isaia  e alla sua opera di liberazione: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano………………”.

Dicevo che la domanda di Giovanni è attuale, perché noi, abituati a dare per scontata la venuta di Gesù e per normale la constatazione di una liberazione non accaduta (anzi, pare che oggi le forze avverse del male e il dilagare dei malvagi siano inarrestabili), siamo invischiati nella tentazione di non aspettare più nessuno  o di spostare in un tempo indefinito la parola di Gesù, come se fosse un’utopia o una speranza irraggiungibile, oppure di ridurre a riti e tradizioni lo ‘scandalo’ dell’Incarnazione di Dio in Gesù.

E’ che siamo abituati ad una fede consolatoria, di tutto riposo, mentre Gesù con le sue parole ci sfida a cooperare con Lui, a fare le stesse cose, se vogliamo essere suoi discepoli di fatto e non solo di nome, se vogliamo che Lui si credibile anche oggi.
Oggi il Signore agisce per mezzo nostro, per cui ci dobbiamo domandare come porci nel nostro mondo abituale perché i ciechi, cioè quelli che non vedono in tutti i sensi riabbiano la vista, gli zoppi, cioè coloro che barcollano e non riescono a stare in piedi nelle vicissitudini della vita, possano intraprendere o riprendere un cammino,  i lebbrosi, cioè tutti gli emarginati e disprezzati per qualsiasi ragione, possano riavere una dignità umana, i sordi quelli che non odono o non vogliono sentire possano ascoltare e rimettersi in contatto con gli altri; perché la vita prevalga sulla morte  e a tutti venga annunciata una speranza di gioia, di bellezza.

Non perché non ci accorgiamo delle situazioni o ci chiudiamo in difensive più o meno sbarrate, ma perchè ci fidiamo di una Parola che continua ad essere annunciata nonostante le nostre indifferenze e respingimenti.
Soprattutto ci fidiamo di Chi ha pronunciato quella Parola e ha dato un annuncio bello che deve scuotere, che deve incamminare.