4^ domenica di Pasqua

Lettura degli Atti degli Apostoli 20, 7-12

Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti. Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è vivo!». Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.

L’episodio, raccontato negli Atti degli apostoli, per sé, è simile a molti altri appuntamenti che Paolo sviluppa nella comunità cristiane. Qui, però, acquista un particolare significato per il segno che viene offerto, poiché porta soccorso ad un ragazzo di questa comunità che, incidentalmente, ha perso l’equilibrio e, cadendo da una finestra del terzo piano, è morto.


La lettura di questo brano si inserisce nelle novità che Gesù porta: la Parola di Dio, l’Eucarestia, la forza della fede, il segno della risurrezione che, in quell’occasione, si è manifestata, addirittura, per l’intervento di un apostolo, su un ragazzo morto.
Paolo ha abbandonato Efeso, si mette in viaggio per la Macedonia, si ferma nelle varie comunità per alcuni mesi; poi, per complotti contro di lui e la sua predicazione, riprende la strada del ritorno e giunge a Troade. Lo accompagnano sette personaggi (20,4) che probabilmente sono i delegati delle Chiese dell’Asia per la raccolta-colletta in aiuto alla comunità di Gerusalemme in difficoltà. E’ stata una iniziativa di Paolo, apprezzata dalle diverse nuove comunità visitate dall’apostolo, su cui Paolo ha riflettuto molto: su questo impegno di solidarietà Paolo ha scritto molto nella II lettera ai Corinzi.
Dal racconto si scopre che anche Luca, autore degli “Atti degli apostoli” è testimone dei fatti avvenuti. “Ci eravamo riuniti a spezzare il pane, nel primo giorno della settimana", al tramonto (E’, quindi, un sabato sera, all'inizio della settimana ebraica). Al piano superiore, la piccola comunità si trova a pregare e a celebrare l'Eucaristia che fa memoria della passione e insieme della risurrezione di Gesù, avvenuta esattamente il giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana. Si ricordano il “Discorso” e la “Conversazione”. Si intravede lo schema della riunione: il tempo della riflessione (o liturgia della Parola che corrisponde a un lungo discorso tenuto da Paolo alla piccola comunità, insieme con un tempo di riflessione e di spiegazione), l'Eucaristia e quindi il pasto comunitario: praticamente ci si richiama alla liturgia familiare della cena pasquale ebraica.
In questa riunione un ragazzo, di nome Fortunato (“Eutico”), probabilmente stordito dalle tante lampade accese in quella stanza, addormentandosi, cade da una finestra e muore.
L'episodio fa riferimento a due risurrezioni, nel Primo Testamento, operate da Elia (1 Re 17,17-24) e da Eliseo (2 Re 4,30-37) e all’episodio della risurrezione della figlia del capo della sinagoga Giairo, operata da Gesù (Mc 5,35-43).
Tutto il testo ha molti riferimenti simbolici: le tenebre e le lampade accese, la vita e la morte. Vince tuttavia la Parola di vita e il segno della risurrezione.


        EPISTOLA

Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 4, 12-16
Carissimo, nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbìteri. Abbi cura di queste cose, dèdicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.


Questa lettera è indirizzata ad un discepolo di Paolo, Timoteo, responsabile della comunità di Efeso, che è soggetta a crisi ed ha difficoltà anche perché la città, famosa e ricca, è un crocevia di persone e di idee. In tale realtà si sta costituendo, lentamente, un pensiero nuovo, attraverso l’esperienza di Gesù, la sua Parola e il rapporto con il Padre. E’ molto facile, però, l’innesto e l’inquinamento di riflessioni, sensibilità e atteggiamenti che vengono da una rilettura ebraica della fede o da abitudini e mentalità pagane. Timoteo viene fortemente incoraggiato ad una fermezza che manifesti una lucidità coraggiosa che sostenga la fede della comunità. Circolano, infatti, e lo saranno in maniera vistosa alcuni decenni dopo, nella Chiesa, insegnamenti di "spiriti ingannatori" che diffondono pratiche scorrette che Gesù non aveva mai proposto: vietare il matrimonio o astenersi da alcuni cibi (4,3). La matrice, con alcuni addentellati pagani, svilupperà correnti eretiche nelle Comunità Cristiane con questi stessi contenuti che passarono sotto il nome di “Encratismo”. Gli errori sul valore del corpo e il disprezzo della materia derivano dal disprezzo della materia e quindi anche del corpo umano e conducono a pratiche e comportamenti contrari all’insegnamento che Gesù aveva dato, e contrasta anche a quel patrimonio ebraico prezioso che fa riferimento alla creazione del mondo da parte di Dio, che ha fatto buone e belle tutte le cose.
 E quindi, Timoteo, come collaboratore nella missione, deve insegnare, con intelligenza e con responsabilità, la fede vera e deve essere guardato con rispetto, soprattutto per una condotta esemplare di vita che diventi esempio a tutti.
Si parla di giovane età. Per il compito che deve sviluppare, le comunità ancorate, fortemente ancora all’ebraismo, sono abituate ad avete, come depositari della fede, gli “anziani”. Così la giovane età di Timoteo può portare qualche difficoltà nell’accoglienza del suo insegnamento. Paolo è già intervenuto per sostenere il prestigio di Timoteo, in età assai più giovane, quando lo aveva scelto come collaboratore (1 Cor 16,10-11). In quel tempo, soprattutto per il ruolo che ha nella comunità, 35 o 40 anni sono ancora pochi. Timoteo deve sostituire con il suo esempio e con una condotta esemplare ciò che manca alla sua età
Si parla di “Lettura, esortazione e insegnamento”. Normalmente, dopo la lettura pubblica, si aggiungono spiegazioni morali e dottrinali così come si usava nella sinagoga (At 13,14-16). Viene ricordato, quindi, il dono di Dio (“carisma”), conferito con l’imposizione delle mani e che già nel Primo Testamento veniva usato come azione simbolica per trasmettere poteri o cariche. Per le prime comunità cristiane è l'espressione simbolica dell'inserimento in un ufficio: i sette diaconi (Atti 6,6), Paolo e Barnaba (Atti 13,3). Sta maturando, probabilmente, il significato del sacramento del sacerdozio. Si trovano alcuni elementi formali, compreso la presenza “dei presbiteri” insieme, che ci indicano segni e responsabilità precise.
Timoteo, infine, deve ricordare che in lui esiste un dono spirituale su indicazione di "una parola profetica". Questa Parola potrebbe significare il suggerimento di persone fidate, dato a Paolo, sulla scelta di Timòteo come collaboratore (1.18). In questo caso, Paolo parla come di una vocazione.
L’imposizione delle mani, fin dagli inizi, deve essere accompagnata con la preghiera per il compito di guidare la comunità. Timoteo deve rinnovare la sua fiducia nella grazia per svolgere la sua missione

        VANGELO


        Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 27-30 
        In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le     
        conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno  
        le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può 
        strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Il breve brano del vangelo di oggi è tratto da un capitolo dove domina la figura del “pastore”.
E’ un pastore vero, un pastore buono, un pastore che si cura delle sue pecore.
Figura umile quella del pastore; non è nemmeno lui il padrone delle pecore, ma qualcuno a cui sono affidate, con le quali vive giorno e notte. Ecco perché è stata presa ad immagine della cura che Dio ha in Gesù delle sue creature.
C’è un rapporto vivo fra pecore e pastore: addirittura esse reagiscono soltanto alla sua voce: non occorre che parli, sanno già che cosa vuole dire, perciò lo ascoltano indipendentemente da quello che dice, perché sanno di essere conosciute, cioè di essere in una relazione stretta con il pastore.
E quando si è in una vera relazione ci si intende al volo e ci si mette in cammino insieme. Ed è dolce ascoltare e intendesi al solo suolo di una voce amica.
Anche il richiamo alle mani è bello e forte. Nessuno può strappare le pecore dalle mani di Gesù, cui sono state affidate dal Padre.
Le mani richiamano qualcosa di protettivo e di creativo; qui sono viste nel loro aspetto positivo, non come strumento di dominio e di violenza. Infatti esprimono l’appartenenza reciproca, l’incontro, l’adesione profonda: è come una stretta di mano calorosa che rassicura e immette in una fiducia assoluta.
Ci rendiamo conto di essere, in qualunque situazione, anche tragica e drammatica (il cap. 10 di Giovanni è inserito in un’atmosfera di cospirazione e di presagi di morte; i poteri religiosi, infatti, stanno cospirando per catturare Gesù), di essere nelle mani di Gesù e del Padre (che è una cosa sola con Lui)? Altrove si dirà “nel cuore”?
Possiamo dire di seguirlo soltanto all’ascolto della sua voce, perché ormai siamo dentro un vero incontro con Lui, una vera relazione? Consapevoli che niente e nessuno può strapparci dalla sua mano?
E’ sempre il messaggio di Pasqua che ci inquieta e nello stesso tempo ci rassicura.