LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 21, 8b-14 In quei giorni. Entrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani». All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme. Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». E poiché non si lasciava persuadére, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
Paolo
sta ritornando dal suo viaggio di missione e rivisita le comunità che aveva
fondato o che riconosceva cristiane perché evangelizzate da altri (es. quelle
della Fenicia e la stessa Tiro fondate dagli ellenisti: At 11,19). Proprio a
Tiro, dove si ferma con i discepoli sette giorni, Paolo si sente dire dai
cristiani del posto, “nello Spirito”, di non salire a Gerusalemme.
Paolo
si ferma nella casa di Filippo, uno dei sette eletti nella prima Comunità
cristiana per il sevizio alle mense, insieme con Stefano. Filippo ha “quattro
figlie nubili, con il dono della profezia”. Questa notizia fa intravedere un
grande lavorio di evangelizzazione della comunità, da poco costituita, ricca di
doni dello Spirito di Dio, capace di illuminare e aperta alla partecipazione.
Probabilmente hanno un grande ruolo nel costituire richiami, documentazione e
approfondimento del pensiero di Gesù.
Si
parla anche di Àgabo un profeta, che imita i gesti simbolici dei profeti
antichi per predire il futuro con segni particolari. Egli ripete la profezia
sull’arresto di Paolo a Gerusalemme, utilizzando la cintura di Paolo come un
legame di carcere.
Paolo
dimostra una consapevolezza determinata a non lasciarsi sviare dal suo cammino
che ha per meta Gerusalemme: “Sono pronto ad essere legato e a morire a
Gerusalemme per il nome del Signore Gesù”. Queste parole ci ricordano la stessa
determinazione di Gesù che cammina verso Gerusalemme e il Padre.
Paolo
vive la sua vita e la sua vocazione di apostolo. Egli sente di evangelizzare
sia con le parole, raccontando, e sia con la vita affrontando i disagi della
persecuzione, come fece Gesù, per aiutare la fede dei fratelli e sorelle.
Ritorna così un richiamo quotidiano: “Fare la volontà di Dio”, quasi ossessivo
e Gesù lo ripeteva spesso poiché i discepoli non sapevano rendersi conto di
molti perché e di molte scelte che Gesù faceva. Qui, nel linguaggio di Paolo,
c’è una differenza. Gesù parla della volontà del Padre, Paolo parla della
volontà del Signore Gesù.
Così
Paolo ritiene che la vera evangelizzazione si debba sviluppare nella conoscenza
della Parola di Gesù che ci apre il mondo di Dio e, a somiglianza di Gesù,
nella coerenza di vita, per essere esempio e sostegno per fratelli e sorelle.
Nel
nostro tempo si sente una grande sfiducia verso la coerenza delle proprie
responsabilità poiché sembra proprio scontato che con il danaro si possa
comperare ognuno e quindi si ritiene di avere il permesso di poter fare
qualunque cosa. Nel mondo del lavoro come nel mondo politico il coraggio della
correttezza, della chiarezza senza pretendere di fare il maestro di nessuno ma
la trasparenza delle scelte, la partecipazione allargata alle valutazioni
comuni ed alle decisioni, il coraggio di ricercare in ogni cosa il motivo delle
decisioni aiutano a trovare forza e sostengono la coerenza degli altri.
Già,
finalmente, la scelta di pagare i debiti, contratti dallo Stato, è un atto di
responsabilità e di giustizia. Bisogna ricordare che non pagare i propri debiti
è un furto, e se fatto dal potere dello Stato, una rapina. In questo caso i
responsabili della realtà pubblica dovrebbero sentirsi, ciascuno debitore, in
occasione del proprio stipendio e si dovrebbe spontaneamente prendere
l’iniziativa del ridimensionamento, delle proprie entrate poiché ci si deve
sentire responsabili delle proprie autorizzazioni.
Certo,
insieme, c’è la responsabilità del pagare le tasse poiché anche l’evasione
fiscale è un furto delle risorse della Comunità in cui si vive. Bisogna
pretendere l’onestà del contribuente e, nello stesso tempo, la comprensione
verso i salari bassi
EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 1, 8-14
Fratelli, Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo. In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola.
Ci
troviamo di fronte ad una particolare testimonianza, riportata in questa
lettera scritta, probabilmente, nel periodo 61-63 d.C. durante la prigionia di
Paolo a Roma. Egli, per circostanze particolari, ha visitato a suo tempo Filippi che è stata la prima città europea,
da lui evangelizzata, probabilmente, attorno agli anni 50, durante il suo
secondo viaggio missionario.
L’affetto
di Paolo si manifesta, prima di tutto, nel ricordo e nella preghiera.
L’atteggiamento dell’apostolo è di riconoscenza e di ringraziamento. Ciò che
chiede al Signore, e lo manifesta nella lettera, è la maturazione della carità
che già i Filippesi vivono, ma che hanno, comunque, bisogno, sempre, di
crescere in conoscenza e pieno discernimento. Egli stesso manifesta il suo
amore per la comunità che conosce e sa di essere ricambiato. E se parla
come un grande maestro, si sente anche
amico e fratello, incoraggiando la comunità nella linea della saggezza. Nella
serie di raccomandazioni vengono
inseriti anche elementi della filosofia greca che sa proporre la figura del
saggio. Paolo suggerisce l’importanza
della conoscenza, l’atteggiamento di attenzione all’altro con sentimenti di
discrezione, l’apprezzare le cose migliori. Nella riflessione sulla saggezza,
la filosofia greca incoraggia ad una presa di responsabilità sulla realtà per
cogliere ciò che è opportuno fare o non fare,
il giudaismo fa riferimento alla Legge per conoscere la volontà di Dio
per una scelta preferenziale, i cristiani sviluppano il progetto di essere
trovati “puri e senza macchia”.
Paolo
sta formulando una preghiera che conclude: “ I cristiani siano ricolmi di quel
frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di
Dio”.
Paolo,
verificando il cammino della fede nel suo contesto, pur se in carcere, si sente
gioioso perché ovunque c’è consapevolezza, “in tutto il palazzo del pretorio e
dovunque”, che la sua detenzione non abbia il marchio della ingiustizia o del
male, ma il significato di una Parola
nuova, pronunciata da Gesù, e capace di salvezza. Mentre è in carcere e quindi
ha un raggio di azione molto limitato,
sa che “la maggior parte dei
fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono
annunciare senza timore la Parola”.
Paolo
racconta con riconoscenza, poiché nel suo vissuto vede una traccia segnata
dalla Provvidenza per aprire i cuori all’annuncio di Gesù. E, in tal modo, sa
che sta educando la Comunità di Filippi a saper vedere la storia come occasione
di sapienza e progetti nuovi.
E’
certamente difficile interpretare la fatica quotidiana o addirittura
l’ingiustizia subita come un’occasione di testimonianza. Eppure, nella luce del
Signore, Paolo invita ciascuno a saper intravedere la presenza del Signore e
trasformare ogni tempo come un tempo per la speranza di chi ci sta vicino.
Probabilmente questo è il miglior modo di sostenere ed aiutare la comunità in
cui viviamo, religiosa o laica che sia.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 15, 9-17
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Il
vangelo di oggi è bellissimo: andrebbe centellinato parola per parola,
lasciandoci invadere da quella grande pace e consolazione del sentirsi chiamati
‘amici’, del sentirsi dentro la sollecitudine di Gesù di non abbandonarci soli,
disarmati e sprovveduti a camminare per le strade della vita e del mondo.
Fa bene sentirsi dire e ripetere “rimanete
nel mio amore”, che è poi la sua raccomandazione, il “suo” comandamento, la
“sua” presenza.
E si tratta di un amore concreto, appassionato, che fa palpitare, che stringe
la gola; non qualcosa di astratto, impalpabile, proclamato più che vissuto.
Rimanere nel suo amore vuol dire partecipare a tutte le forme d’amore
che la vita ci può offrire e provocare come occasione non rimandabile di dono,
di gratuità, di calore, di coinvolgimento affettivo, di relazione.
Amore come partecipazione di tutti se stessi; perché l’amore, se è veramente tale, non è
lesinabile o dosabile col contagocce o confinabile in comportamenti prescritti,
ma è totale, spalancato, senza confini, fatto di sguardi, di sorrisi, di
abbracci, di carezze, di cuore e di mente, di coinvolgimento totale della vita,
di spontaneità, di gratuità.
L’amore infatti, non ha limiti, è sempre eccedente, va oltre, è senza
porte, implica la piena, libera uscita da sé, il perdersi nell’altro, per ritrovarsi più
ricchi, più capaci di aprirsi, più disponibili a perdersi.
Il riferimento è l’amore di Gesù (“come
io vi ho amato”), che è senza misura e senza interruzioni, un amore che dà
gioia, anzi “una gioia piena”.
Fa pensare e commuove questo richiamo alla gioia, come pienezza, come
appagamento totale, come “dolcezza senza fine” (salmo 15/16), come
l’appagamento del desiderio più essenziale del nostro cuore, come il dissetarsi
totale di ogni nostra sete. Di ogni nostro desiderio vitale. Come l’assicurazione che la speranza, il
bene, l’accoglienza di ogni pur piccola e sommersa manifestazione e richiesta
di vita e di vita bella, non sono né vanno perdute, ma fanno parte di quella grande
sinfonia che è l’amore e la vita di Dio.
Non per nulla in Gesù ha rivelato e manifestato palpabilmente che il
Suo nome è Amore, misericordia, fedeltà intramontabile.
Ed è bello e consolabile sentirsi chiamati a diffondere questo amore, a
renderlo presente in questo nostro scenario tragico del mondo e della nostra
storia, ad essere fiduciosi che, proprio perché Dio è amore, il male non
prevarrà e ogni morte sarà riscattata e sconfitta.