4^ Domenica dopo Pentecoste

Lettura del libro della Genesi 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29

In quei giorni. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli». Quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città». Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace. Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.

Genesi 18, 17-21; 19, 1. 12-13. 15. 23-29
Abramo è un vero amico di Dio e il Signore lo riconosce nella sua qualità di giusto, di intercessore, di uomo di fiducia.
Perciò il racconto su alcuni fatti che hanno sconvolto il tempo e la geografia dei luoghi attorno al Mar Morto, allora zona di benessere e di civiltà, fa leggere, in termini teologici, il terremoto, probabilmente, in concomitanza coni eruzioni vulcaniche (Gen 19,24-25). Da qui fuoco e zolfo dal cielo.
Lot, nipote di Abramo, immigrato anche lui con il Patriarca nel viaggio da Ur di Caldea a Carran, sempre con Abramo giunge in Canaan, poi in Egitto e poi ancora in Canaan dove si è stabilito, Lot  ha molto bestiame. Per poter vivere in pace nello sviluppo della propria ricchezza, e per non dover litigare con i pastori di Abramo, alla ricerca di pascoli, su proposta di Abramo stesso gli viene offerta la possibilità di scegliere il territorio in cui vivere. Lot sceglie di emigrare nella valle del Giordano, ben irrigata, e si stabilisce presso Sodoma (Gen 13,8-13).
Dio ascolta il grido di sofferenza che si alza dalle città di Sodoma e Gomorra poiché gli abitanti sono malvagi e opprimono gli altri cittadini più poveri e indifesi. Gli abitanti malvagi fanno il male, rifiutano l’ospitalità, a differenza di Abramo che ritiene sempre un onore ospitare e dar da mangiare ad uno straniero Anzi considerano straniero Lot stesso, che abita tra loro e lo rimproverano per il fatto che si rifiuta di consegnare loro due ospiti che sono venuti a trovarlo. Essi vogliono abusare di loro e minacciano lo stesso Lot: (Gen 19,9: “È venuto tra noi come straniero e vuol farsi giudice”).
A questo punto, l’autore biblico ritiene di aver sufficientemente dimostrato la malvagità di Sodoma e Gomorra e quindi conclude che Dio, giustamente, debba distruggere le due città. A questo punto, nel testo, viene riportata la grande intercessione di Abramo con Dio che gli ha confidato i suoi progetti di distruzione del male e dei suoi autori. Abramo non difende i malvagi ma pone il problema della morte dei giusti insieme con i peccatori in caso di catastrofe: “Sterminerai, Signore, l’empio con il giusto?” (18,23-33). In una trattativa tipica del mondo orientale in cui si insiste ad abbassare i parametri degli interventi di castigo, Abramo incomincia da 50. “Se ci fossero 50 giusti?” e arriva fino a 10:”E se ci fossero 10 giusti?”. Non c’erano neppure 10 giusti.
Tuttavia, Dio salva Lot per amore di Abramo poiché non ha accettato di cedere i suoi ospiti alla malvagità dei Sodomiti.
Il testo vuole aiutarci a scoprire che una nazione è destinata alla distruzione se non rispetta l’ospitalità, se fa gridare di paura e di rabbia il povero perché sfruttato, se compie il male, se non sa obbedire alla legalità, riconoscendo il diritto di ogni persona, se non conserva la pietà per i deboli. .
E questo va fatto senza rimpianti, senza nostalgie e tentazioni assecondate.
La lettura teologica  aiuta a ricercare il senso del male nel mondo, mentre continua a mantenere il principio: l’uomo pecca e Dio castiga. A questo orientamento viene ricondotto anche il significato di alcune forme cristallizzate di sale. Una di queste fa riferimento alla moglie di Lot che non ha saputo superare la tentazione di rivolgersi indietro, con la sua nostalgia al passato.
La lettura culturale si gioca, perciò, su moralità e immoralità, su benessere e morte, nella linea di premio e castigo. Ma è il male stesso che ha in sé il virus della debolezza, della frantumazione e della distruzione.

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 6, 9-12

Fratelli, non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò dominare da nulla.


1Cor 6,9-12
La lettera ai Corinzi sorge con alcune urgenti problematiche che Paolo sente di dover affrontare per non lasciare nell’ambiguità e nella immoralità i credenti in Cristo che, pure, hanno ricevuto esempi, parole nuove, suggerimenti e stili di vita altissimi.
Perciò, dopo essere intervenuto duramente su un grave fatto di immoralità sessuale, verificatosi nella comunità cristiana e da tutti conosciuto : “un cristiano convive con la moglie di suo padre”, “immoralità che non si riscontra neppure tra i pagani” (5,1), e dopo aver giudicato e concluso con l’espulsione di tale cristiano dalla Comunità, Paolo continua con alcune proposte coerenti con la fede, ma anche di difficile accoglimento, mentre rimprovera: “Se avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente che non ha alcuna autorità nella Chiesa” (6,4). Così Paolo suggerisce: “Prendete invece tra voi qualche persona saggia che possa fare da arbitro tra fratelli e fratelli” (6,5). Tra l’altro questo è il riferimento per cui sono sorti i tribunali ecclesiastici, croce pesante per i vescovi dei primi secoli che dovevano passare molte ore a giudicare su sciocchezze e problemi, spesso poco significativi, ma causa di discussione e di contesa.
In questo contesto morale Paolo richiama un breve catalogo di catechismo morale, frequente nelle lettere dell’apostolo, ma qui particolarmente solenne: sono enumerati 10 comportamenti immorali che escludono dal Regno, tanti quanti i 10 Comandamenti. Il fatto che si aggiunga un “Non illudetevi” può far pensare a mentalità libertine che uniscono insieme fede cristiana e comportamenti immorali.  Problema sempre esistito, anche oggi.
La fede cristiana deve rivedere un comportamento pagano poiché essa pretende una conversione. Il battesimo consacra a Dio e rende interiormente giusti (“santificati e giustificati”). Gesù  è “giustizia, santificazione e redenzione” (1,30). La fede in Lui, “nel suo nome”, e la forza dello Spirito del nostro Dio” ci hanno trasformato poiché la grandezza del Dio Trinitario si è riversata in noi” (6,11).
“Tutto mi è permesso” (ripetuto due volte) può essere un’affermazione di Paolo, ripetuta in altri contesti, probabilmente in richiami a regole ebraiche”. Ma Paolo è preoccupato di educare la libertà di ciascuno.
La libertà ha i suoi limiti e va impegnata con responsabilità. E’ necessario  costruire ciò che vale e in modo tale da non lasciarsi dominare da forze avverse che ci rendono schiavi.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 22, 1-14

In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


Mt 22,1-14
La parabola raccontata da Gesù  vuole mettere in evidenza  non tanto le espressioni di ira e il castigo, che fanno parte di una precisa logica legata al pensiero ebraico antico di un Dio che deve in un certo senso per forza punire gli empi e premiare i buoni, per cui la struttura del racconto riflette questa mentalità, così corrisposta ed approvata dagli ascoltatori, quanto l’incontenibile desiderio di  rendere partecipi tutti  di una festa di nozze.
E’ importante che sia l’invito ad una festa di nozze, perché questa festa vuole celebrare l’amore, la scelta reciproca, il desiderio di casa e di famiglia, il futuro, la speranza sui figli, l’interruzione della monotonia quotidiana per soffermarsi su una partecipazione all’abbondanza, alla varietà e alla ricchezza di un pranzo che simboleggia secondo i profeti la mensa preparata sul monte Sion cui affluiranno tutte le genti.
E la festa di nozze è sospensione dalle occupazioni comuni, è allargare l’orizzonte e l’esperienza ad un oltre che rende più bello il solito e il quotidiano.
La sorpresa è l’indifferenza a questo invito: tutti hanno qualcosa di più impellente e necessario, tanto che ritengono questo invito quasi un insulto alla loro routine, anche se faticosa e disagevole.  Soprattutto sentono questo invito come uno scompiglio.
E allora non solo si sentono offesi dell’invito, ma insultano e addirittura uccidono i servi inviati ad invitare.
Indifferenza e rifiuto.
E allargamento dell’invito a tutti:  buoni e cattivi, anzi: cattivi e buoni.
Ma c’è un “ma” , rappresentato dal commensale privo della veste nuziale.
Essere privo della veste nuziale significa essere privo della dignità di un cambiamento: infatti accettare l’invito a nozze, vuol dire  accettare il cambiamento che appunto la festa nuziale esige nei confronti dell’esistenza quotidiana, vuol dire che partecipare alla festa di Dio non può lasciare invariati, incardinati nella mentalità di sempre, ma immettersi nella logica di questa festa, che nelle nozze celebra appunto la relazione, l’incontro tra due persone che decidono di camminare insieme nel clima e nell’orizzonte dell’amore di Dio.
Amore che, appunto, non esclude nessuno: cattivi e buoni.
E che esige un cambiamento: da una visione ristretta ai propri “affari” a quella di una festa comune cui tutti sono invitati, che è promessa di gioia, amicizia, condivisione.