5^ Domenica di Avvento

LETTURA 
Lettura del profeta Isaia 30, 18-26b
In quei giorni. Isaia disse: «Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, / per questo sorge per avere pietà di voi, / perché un Dio giusto è il Signore; / beati coloro che sperano in lui. / Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, / tu non dovrai più piangere. / A un tuo grido di supplica ti farà grazia; / appena udrà, ti darà risposta. / Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione / e l’acqua della tribolazione, / non si terrà più nascosto il tuo maestro; / i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, / i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: / “Questa è la strada, percorretela”, / caso mai andiate a destra o a sinistra. Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; / i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. / “Fuori!”, tu dirai loro. / Allora egli concederà la pioggia per il seme / che avrai seminato nel terreno, / e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; / in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato. / I buoi e gli asini che lavorano la terra / mangeranno biada saporita, / ventilata con la pala e con il vaglio. / Su ogni monte e su ogni colle elevato / scorreranno canali e torrenti d’acqua / nel giorno della grande strage, / quando cadranno le torri. / La luce della luna sarà come la luce del sole / e la luce del sole sarà sette volte di più, / come la luce di sette giorni, / quando il Signore curerà la piaga del suo popolo».

L’orizzonte, entro cui ci si muove, è il mondo Assiro, violento di una violenza predatoria, che vuole combattere, vincere e saccheggiare i popoli dell’area mediterranea. Perciò tutti sono in subbuglio, poiché la guerra procura devastazione e morte. In Gerusalemme i consiglieri e il re, responsabili dei rapporti con i popolo vicini, stanno progettando alleanze con l’Egitto.  Il profeta suggerisce invece che l’unico rimedio debba essere il ritorno a Dio, senza confidare nelle alleanze.
Perciò tutta la prima parte del cap. 30 è una durissima critica a questa fiducia nell’Egitto dei faraoni. Tra l’altro l’Egitto viene chiamato “Rahab l’oziosa” (30,7) e Rahab è il mostro marino femminile della mitologia corrente (a Babilonia è chiamato Tiamat) che Dio sconfigge nella creazione quando controlla e mette i confini al mare. Scelte non fondate sulla fiducia nel Signore comportano per se stesse tragedie e sconfitte: “Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui“ (v 18).
Questo popolo deve mettere in conto che ci saranno sofferenze (“Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione” v 20) e ci saranno momenti tristi. Ma tutto questo non dimostrerà certamente che Dio vi abbia dimenticati. Anzi il Signore vi accompagnerà con dolcezza e vi correggerà se vi saranno sbandamenti. (v 21). Le deviazioni sono in riferimento a quelle accettate tentazioni dl rivolgersi agli idoli. E il male che fa l’idolatria non è sempre compreso. Gli dei, costruiti dagli uomini con legno e metallo, non hanno e non propongono un orientamento morale. Allora tutta la legge di Dio, che è stata data sul Sinai nel deserto per conservare la propria libertà, diventa insignificante. Quando la si dimentica, si diventa schiavi delle proprie passioni senza verifiche e senza aiuti.
Ma se Israele si purificherà, allora ci saranno grandi doni  per il lavoro che darà frutto. Si parla di agricoltura e di pastorizia che rappresentano i lavoro comuni e raggiungeranno risultati floridi. Le immagini si accavallano per raccontare l’abbondanza, la bellezza e la bontà dei doni.
Il contrasto interessante tra le torri che cadono (le difese sono sbriciolate) e i canali e torrenti sui monti dicono la difesa di Dio al popolo e l’abbondanza agricola di raccolti  e di bestiame che si sviluppano perfino su terreni inadatti all’agricoltura.
Anche la luce della luna e del sole aumenteranno incredibilmente e Dio stesso si fa medico che guarisce “le piaghe del suo popolo” (v 26).

 EPISTOLA 
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 4, 1-6 

Fratelli, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio. E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.In questa parte della lettera Paolo desidera sviluppare un confronto tra l’Antica Alleanza con le sue istituzioni  e la Nuova Alleanza e il suo ministero che ha già svolto nella Comunità di Corinto, ma che alcuni cristiani, ancora molto legati all’ebraismo e alla sua cultura (“giudaizzanti”) , gli contestano. (cap. 3).

Così Paolo, nel cap. 4, che leggiamo in parte oggi, inizia la descrizione del ministero della Nuova Alleanza, chiamato in precedenza, “il ministero dello Spirito”. Paolo afferma con convinzione e consapevolezza che centro della propria predicazione è “Gesù, Messia e Signore” e che sua preoccupazione è quella di far splendere nel mondo la luce divina che brilla sul volto di Gesù.
Paolo stesso elenca le esigenze che il suo ministero comporta: manifestare la verità alla coscienza di ciascuno, preoccupato di non dissimularla, non nasconderla, proposta con un coordinamento corretto e coerente, in modo integro.
Paolo si impegna di dare un profilo alto dell’apostolo, ricco della sua esperienza di evangelizzatore itinerante: costanza, fortezza di spirito, sincerità, fedeltà, umiltà, servizio.
Paolo si rammarica, ma constata che il Vangelo predicato non è percepito nella sua genuinità e risulta “velato”. Se non c’è chiarezza, il Dio di questo mondo (Satana) ha accecato la mente dei suoi, rendendoli increduli. Ma Paolo ha annunciato con correttezza “Gesù Messia e Signore”: è la formula essenziale che esprime l’umanità storica di Gesù (Messia) e la sua glorificazione (Signore). Questa formula viene detta anche “Kerigma cristiano”: è la sintesi della fede e tutto l’insegnamento degli apostoli si orienta su questa formula e la sviluppa. Il Vangelo, che non è sapienza di uomini, non può essere manipolato nel suo annuncio, né ci si può approfittare: “ noi non predichiamo noi stessi” (v 5).
Il Dio, che ha creato la luce (Gn1,3), ha fatto splendere la nuova luce prima di tutto nel cuore degli apostoli e quindi nella sua manifestazione nel mondo: questa luce nuova risplende sul “volto di Cristo” e comunicare Gesù aiuta a intravedere questo disegno splendido di Dio che ci ha inviato Gesù uomo e luce stessa di Dio. Accoglierlo significa, perciò, essere trasfigurati dalla stessa luce di Gesù.



VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 3, 23-32a 
In quel tempo. Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito.

E’ bella l’immagine dello “sposo”, indipendentemente dalle reminiscenze bibliche, perché dice relazione, perché sottolinea come Gesù  sia entrato nella nostra umanità per stabilire più strettamente, più concretamente, delle relazioni, una vicinanza coinvolgente che non può lasciare indifferenti.
E Giovanni Battista lo intuisce, tanto che esce nella bella, profonda espressione  di gioia: “Lui deve crescere, io invece diminuire”.  Non c’è concorrenza nell’annuncio e nella  missione, perché la pienezza è portata da Gesù; non siamo noi a salvare il mondo, a ridare un senso alle persone, ma Lui.
E’ importante questo richiamo, per ricomporre, nell’umiltà e nella consapevolezza che anche noi abbiamo continuamente bisogno di salvezza, la nostra presenza nella Chiesa e nel mondo.

Questo non esime dalla conversione e dalla necessità di entrare nella relazione che il Signore continuamente ci propone come espressione di fede e fiducia.
E’ un invito alla gioia perché si è capito che la salvezza portata dal Signore non è qualcosa di astratto o di legalistico, ma passa attraverso il rapporto stretto che egli vuole stabilire con noi e tra noi.   
Questo Giovanni Battista annuncia:  preparare le vie del Signore vuol dire preparare i nostri cuori alla sua presenza, sgombrandoli da tanti pensieri inutili e dall’affanno di una felicità fittizia.
Il non sentirci a posto nei confronti del Signore consiste proprio nel non riuscire a fargli posto nel nostro cuore e nella nostra vita, quel posto preminente ed unico come tra sposi che si ritrovano in una relazione  profonda di tenerezza e di dono reciproco.

Davvero non si finisce mai di avere bisogno di conversione e di aiuto del Signore, di persone come Giovanni Battista che ce lo ricordano con passione.