LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 4, 32-37
In quei giorni. La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa «figlio dell’esortazione», un levita originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.
Luca,
scrivendo il seguito del suo Vangelo come proseguimento e sviluppo della
presenza e dell’opera di Gesù risorto, nel breve testo di oggi degli Atti,
racconta la vita della comunità di
fratelli e sorelle, unita nel nome di Gesù. Tutti portano il nuovo sigillo
della vita piena e sono detti “i cristiani”, (dopo qualche decennio, “ad
Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani” At 11,26).
Per essi la vita piena di fede deve avere riflessi anche nei rapporti
quotidiani con le persone della comunità che si riconosce nella fede. Così la
scelta fondamentale di Gesù deve essere capace, insieme, di conoscere il
Salvatore e verificare la fatica, la
sofferenza che vediamo attorno, e il bisogno a cui portare sollievo. Non
possiamo provvedere a tutto ma, per lo meno, verificare e sottrarre fratelli e
sorelle dal bisogno, poiché si mettono insieme le risorse. E’ vero che nel
mondo greco ci sono richiami e ricordi mitici dell’età dell’oro quando si favoleggia
che, all'inizio “tra amici tutto è in comune”. Ne parla Platone e altri
scrittori greci e latini, come Seneca. L’amicizia diventa un elemento
fondamentale di coerenza e di coesione per cui non si accetta, potendo
alleviare il bisogno, che un amico soffra. Per questo all’amico si mette tutto
a disposizione. Luca, probabilmente, non ha la pretesa di ricostruire il mito.
Luca vuole aiutare a cogliere il senso di una esperienza che capovolge i
criteri della vita. La proprietà non è un assoluto ma le risorse si utilizzano
per alleviare la fatica di quelli che conosciamo.
Probabilmente
non si tratta però di un fatto generalizzato dal momento che si sente
l’esigenza di ricordare il gesto di donazione di Giuseppe che offre il ricavato
di una sua vendita agli apostoli. E
tuttavia non si tratta di minimizzare la generosità della Comunità cristiana
(ci sono tre sommari che riprendono lo stesso tema: At 2,42; 4, 32-37 (testo di
oggi) e 5, 12-16). Infatti scopriamo che c’è la impegnata e seria
preoccupazione di un servizio giornaliero di mense per i poveri e, in
particolare, per le vedove. E questa provvidenza, nella Comunità cristiana,
costa molte energie e pone fortemente un problema di carità generosa e
disinteressata.
In
realtà a Gerusalemme, molto presto, per carestia e per il moltiplicarsi dei
poveri, finiscono presto le risorse dei cristiani nella città e si sente il
bisogno dell’aiuto delle altre chiese (At 11,29-30) per cui s. Paolo si fa
portavoce e raccoglitore della colletta (Gal 2,10). Anzi, proprio questa è una
delle più grandi preoccupazioni che Paolo riprende nelle due lettere ai Corinzi
(1 Cor 16,1-3; 2 Cor8-9; 12,16-18).
Nella prima Comunità
cristiana l’ideale perseguito non è quello della spogliazione e della povertà volontaria, ma quello di una
carità che non può tollerare che vi siano dei fratelli e sorelle nella
indigenza. Paolo parla di “uguaglianza” (isòtes)
che nell’ellenismo è considerato elemento specifico dell’amicizia, e che
diventa il tratto distintivo della carità fraterna (2Cor 8,13 “Non
si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che
vi sia uguaglianza”; 2Cor 8,14 “Per
il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la
loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza)”.
La comunità dei beni materiali può essere la manifestazione di una più profonda
comunione di cuore. Per chi è cristiano,
allora, questa attenzione all’uguaglianza deve diventare sempre più il
contenuto vero della democrazia. Ed è necessario che la nostra sensibilità politica, che è impegno
per il bene comune, si alimenti di queste attenzioni e preoccupazioni.
EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 31 - 13, 8°
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.
La Comunità cristiana di
Corinto, pervasa dalla presenza dello Spirito, in particolare, gode di una
ricchezza di doni (carismi) che, a volte, raggiunge anche una sua
spettacolarità. Ci sono manifestazioni
che conducono ad una utilità della Chiesa per la conversione degli
infedeli e sono frutto dei doni di Dio e del suo Spirito,, ma altre assomigliano di più a stati estatici
pagani che portano al delirio, a perdita parziale o totale della
razionalità, a manifestazioni spettacolari, ambite e apprezzate spesso, ma che
inducono al disordine, alla stravaganza e che, comunque, tolgono la libertà.
Diventano fenomeni di dubbia autenticità e vanno tutti verificati dalla
fede. Paolo suggerisce di attendere ai
carismi più grandi e più utili per l’edificazione della Comunità, ma suggerisce che il vero fondamento è dato
dalla "carità" (in greco “agape”) che, poco usata, nel
linguaggio cristiano corrisponde all’amore di comunione. E’ “la via più
sublime”. Essa è dono di Dio, è strada da percorrere, è stile credente, è
coscienza operativa nella vita, è apertura di cuore che accoglie gratuitamente
l’altro, preoccupati, prima di tutto, dei suoi problemi. Ci troviamo di fronte
ad un testo famoso e bellissimo, mai sufficientemente meditato. Sono molti gli
aspetti che vengono riletti e calati
nella quotidianità: non è assolutamente un testo astratto o moralistico.
Esprime una ricchezza infinita che solo Dio pienamente raggiunge, ma che a noi
è dato come paradigma per confrontarci e maturarvi la nostra esistenza.
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Il parlare nelle
varie lingue mi farebbe un buon comunicatore, ma senza la “carità” non
evangelizzerei nessuno perché non comunico il Signore.
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Così, senza la
“carità”, la profezia, la conoscenza e la fede non mi mettono pienamente in
sintonia con il Signore e le sue opere
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Anche il dare
tutti i beni e il corpo stesso in sacrificio , senza la "carità" non
mi fanno un benefattore: sono nulla.
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Si propongono 3
aspetti in positivo: la "carità"
è paziente, benevola (v 4) e si rallegra della verità (v.7).
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8 stili di vita
descrivono la "carità" negando
il male (o negando la morte: il numero 8 richiama la risurrezione, “il giorno
dopo il sabato”): “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia di orgoglio,
non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene
conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia” (vv 4-7).
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4 atteggiamenti
del cuore garantiscono una totalità di accoglienza: “Tutto scusa, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta”. Il tutto è ripetuto 4 volte: è la totalità dell’orizzonte umano (numero 4).
Si sommano l’accoglienza, la fiducia, l’attesa piena e la non violenza.
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“La
"carità"” non avrà più fine (v 8) poiché è eterna come Dio, che è
carità” (Gv 4,8).
Il
pensiero di Paolo viene ripreso, con chiarezza e nello stesso spessore, nella
lettera ai Galati (5,14): “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un
solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 13, 31b-35
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Qual
è il segno di riconoscimento dei cristiani?
“Da questo sapranno che siete
miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”
Il discepolo è uno/a chiamato ad amare, non con un amore qualsiasi, che
può anche essere un suo surrogato egoistico, così come spesso viene
contrabbandato dalla cultura effimera della logica mondana; ma l’amore con cui
Gesù ci ha amato.
Un amore che si dona totalmente, che non pretende, che non schiavizza,
che non si concede, ma liberamente si apre alla gratuità, alla piena
condivisione.
Infatti quello richiesto da Gesù, è un amore che libera, che si esprime
con tenerezza e rispetto, che stima l’altro, che lo accoglie, che entra in un
cammino comune.
Non è un amore astratto, generico, ma richiede sguardi e sorrisi, un
darsi la mano per accompagnarsi reciprocamente nelle vie della vita.
L’amore di Gesù non è generico o superficiale o distaccato (come può
essere distaccato se è vero amore?), non ammicca da lontano o pretende
esclusivismi, ma riguarda volti e nomi precisi, persone che hanno e vivono una
storia, che piangono e ridono e faticano e si meravigliano e si donano alla
vita ritenendola un bene prezioso.
Per l’amore richiesto da Gesù non occorrono dottrine sapienti o
elaborate ricerche, perché attiene alla semplicità, alla essenzialità, a quella
sfera della bellezza e della bontà che ciascuno può ritrovare in sé, nella
sua vena più genuina, quando si lascia
parlare il cuore facendolo risuonare delle parole di Gesù.
Guardate –sembra dire Gesù a ciascuno di noi che vogliamo seguirlo-,
non è difficile, basta che non mi perdiate di vista; fate come me, agite con spontaneità e non
abbiate paura di chinarvi, di prendervi a cuore le persone –una per una, quelle
abituali e quelle che man mano incontrate, quelle simpatiche e quelle
antipatiche- e di accogliere ciascuno in un grande stretto abbraccio.
Allora sì che potremo essere veramente annunciatori di amore,
quell’amore che ti fa brillare gli occhi ed accendere il cuore e ti riempie di
meraviglia, di riconoscenza, di tenerezza.
Che ti dà e diffonde comunque gioia, anche se sei nella sofferenza e
nel dolore.
E’ la gioia di Chi ti assicura di essere sempre con te per tutti i giorni,
sino alla fine del mondo.
Con il suo sconfinato indicibile amore.