5^ domenica di Quaresima (di Lazzaro)

LETTURA 
Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4a; 26, 5-11 
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia».


Mosè suggerisce una sintesi della storia d’Israele che diventi consapevolezza e memoria di ogni israelita, iniziando dalla consapevolezza di una origine umile e povera: “Mio padre era un Arameo errante”. Quando ciascun ebreo deve richiamare la propria identità, non dimenticherà mai di essere poi parte di un popolo che il Signore ha voluto, ha liberato, ha condotto in uno spazio proprio e gli ha dato consapevolezza di aver ricevuto terra e doni della terra: frutti e animali che sono il risultato di una predilezione e di una benedizione.
I doni sono gratuiti, perciò suppongono alcune clausole di gradimento. Sono di ciascuno, ma le primizie vanno offerte: il ricevere deve aprire il cuore per poter riconoscere, gradire e offrire.
I doni, poi, che dovranno essere elemento di gioia e di ringraziamento, vanno vissuti e condivisi. Si ricordano due categorie di persone che non hanno la possibilità facile di possedere: i leviti e i forestieri. I leviti sono discendenti di Levi, uno dei figli di Giacobbe. Sono collegati, spesso ai sacerdoti, ma hanno funzioni distinte. I sacerdoti nel tempio sacrificano a Dio e offrono incenso. I leviti svolgono compiti di servitori, organizzatori degli aspetti esterni del culto e cantori. Pur parlando di 48 città affidate ai leviti, essi non possiedono e quindi vivono di carità, ricevendo dagli altri ebrei la possibilità di vivere. La stessa cosa va detta per gli stranieri che hanno spesso una precarietà di lavoro. Perciò il popolo, che possiede e che porta l’offerta al Signore, deve mantenere la memoria di questa rivoluzione storica che il popolo ha vissuto e di cui è consapevole e ringrazia. Va ricostituita la gioia piena della liberazione insieme con il levita e il forestiero. Così, alla fine, sicuramente ci si contrappone alla schiavitù, alla solitudine, all’abbandono. Le risorse ricevute, e  che vengono offerte nella gioia, possano essere partecipate anche alla realtà povera.

EPISTOLA 
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 1, 18-23a 
Fratelli, l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile.


Paolo si rifà alla esperienza del suo popolo e riscopre che l’intervento di Dio si sviluppa, inizialmente, nella sua ira  per l’empietà raggiunta. E’ la reazione di Dio che è giusto e vuole un mondo giusto e buono. Ma l’ira di Dio può essere considerata un preludio necessario alla salvezza. Tutti gli uomini sono peccatori, e Paolo stabilisce una situazione generale: essi, pur avendo una conoscenza iniziale di Dio attraverso le opere – la natura per i pagani gl’interventi nella storia per gli ebrei- non hanno agito di conseguenza e hanno smarrito quel barlume iniziale di sapienza, cadendo nella immoralità e nella idolatria. Dio, pur nella sua invisibilità e inaccessibilità dei suoi attributi, si rende visibile  “per mezzo delle opere da lui fatte”, sia dalle creature del mondo sia dai fatti di liberazione verso il popolo di Dio nella storia. Gli attributi di Dio che generano opere particolarmente significative sonola sua eterna  potenza e divinità” che muovono il creato e hanno liberato il popolo d’Israele.  Il non saper intravedere  questa formidabile presenza e armonia nel mondo rende gli uomini “inescusabili”  poiché non lo hanno “glorificato né ringraziato come Dio”. Sono diventati stolti poiché non hanno saputo approfondire questa presenza e si sono fermati a “figure di uomini corruttibili”.
Il messaggio arriva anche a noi, nella  sua drammaticità. Paolo lamenta che non si sviluppa  né si matura il senso delle cose, ci si ferma all’immediato, alla vanità, alle apparenze e non si verifica ciò che conta davvero,
In tal modo non si scopre la profondità e non si sa ringraziare veramente e gioire della pienezza e della grandezza.
Iniziando da qui, si può riprendere a rileggere i segni dei tempi che si susseguono nel tempo, segni anonimi per chi non li sa guardare e interpretare,  segni non firmati eppure proposti dal Signore per chi li vuole leggere.
-       Il Vangelo ci riporta uno splendido testo:  I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose loro: «Quando si fa sera, voi dite: «Bel tempo, perché il cielo rosseggia»; e al mattino: «Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo». Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona». Li lasciò e se ne andò (Mt 16,1-5).
-       Giovanni XXIII ci ha fatto riscoprire, nella “Pacem in terris” (1963) e nel Concilio, la carica di questi segnali che il Signore discretamente invia nella storia per interpretarli, avere speranza e viverli.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 1-53
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 

“E gli andò incontro”.
Marta, appena sa che Gesù sta arrivando, gli va incontro.  Si può pensare ad un’attesa che finalmente si esaurisce, ad un rammarico della mancata presenza di Gesù in una situazione così grave:  Lui, che è amico di Lazzaro e che vuole molto bene alle due sorelle, che, si potrebbe dire, è di casa, al momento della morte di Lazzaro non c’era.
E questa assenza sembra aumentare a dismisura il vuoto.

L’andargli incontro di Marta mette in evidenza quanto le due sorelle contassero su Gesù; probabilmente, se lui ci fosse stato, non sarebbe successo quello che è successo……..
Ma ora, comunque, la sua presenza è rassicurante, è una garanzia per la vita, nonostante il buio e l’ineluttabilità della morte: “Io sono la resurrezione e la vita”
E lo dice proprio a lei, che si fida e si affida totalmente.

Il contesto è di pianto: piangono Marta e Maria, piange Gesù, travolto anch’egli dalla commozione e dalla partecipazione al dolore per la perdita di una persona cara e per la ineluttabilità della morte, piangono gli amici e i presenti.

Poi: la parola gridata a gran voce come segno della sua unione con il Padre: “Lazzaro, vieni fuori”.
Parola che rivela che l’uomo è creato non per la morte, ma per la vita.

A me pare che tutto cominci con quell’ “andare incontro” di Marta, la donna concreta, quotidiana, la donna che si prende cura, perché, pur nel momento tragico del lutto, quando tutto sembra non avere più valore e vien voglia di lasciarsi andare, ha il coraggio di alzarsi e di muoversi, correndo (dice una vecchia traduzione), verso Gesù, verso l’amico.  Non aspetta che sia lui ad andare da lei per consolarla, ma va lei, perché è insormontabile il problema della morte; solo la fiducia nell’amico Gesù può forse dare uno spiraglio a quel buio, a quell’immenso interrogativo che è la morte.

La morte è mistero che deturpa l’uomo:  qui sembra che ci venga detto  che anche Gesù ne è sconvolto, ma proprio questa sua partecipazione e questo suo esserci può aprire uno sguardo diverso.  L’importante è alzarsi e andargli incontro, con la fiducia di chi non si sofferma a rammaricarsi o a rimproverarLo per la sua lontananza, ma gli va incontro perché sa che nei luoghi e nei momenti tragici Lui viene.

Viene per dirti ‘sono con te’ a lottare nei luoghi e nei tempi della morte (“Liberatelo e lasciatelo andare”), ma anche per rassicurarti della sua vicinanza nel dolore e nell’amicizia.
Quella vera, quella su cui puoi contare.
E’ allora possibile, da qualunque stato di prostrazione, alzarsi e andargli incontro.