Lettura del libro del Deuteronomio 6, 1-9In quei giorni. Mosè disse: «Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».
Il Deuteronomio ("seconda
legge”) è chiamato così per l'obbligo che il re aveva di tenere presso di sé
una copia della Legge ( "una seconda Legge") come guida del suo
governo e della sua condotta (Deut. 17,18). Il Deuteronomio é il libro per
eccellenza della Parola di Dio. Gli Ebrei lo chiamano Debarim ("Le
Parole"). I suoi 34 capitoli sono strutturati sul verbo
"Ascoltare" che significa: "obbedire, praticare quanto esce
dalla bocca di Dio" (Deut. 8,3). E’ impostato su tre discorsi di Mosé (cc.
1-4,5/ 5-28/ 29-30). Per Israele delinea le scelte di Dio e le scelte che il
popolo deve fare perché in questa Alleanza ci siano pace, serenità, abbondanza
di prodotti della terra e ricchezza di vita. “Io ti do la terra su cui abitare,
ti do i comandi, le leggi e le norme, ti do la vita nei figli, - dice il
Signore -tu devi mettere in pratica ciò
che ti comando ed educare i tuoi figli perché con te accolgano la Legge”.
Ma la ricchezza dell’Alleanza
dipende da due sentimenti fondamentali: “temere il Signore” (v 2) e “amare il
Signore” (v 5). Non si parla di gesti di culto né di offerte a Dio. Questo fu
considerato un atto di omaggio e di offerta per il Signore e fu il modo
universale di onorare la divinità nell’antichità ( ebrei e pagani), per
propiziarla, e ingraziarla con i doni che, umilmente, i mortali le offrivano.
Anche Israele entrò in questa prospettiva e si impegnò a costruire il tempio,
mantenerlo nello splendore, di offrire doni. Anche il mondo cristiano ritenne
che fosse un grande segno di amore offrire a Dio doni e materiale prezioso,
costruire grandi cattedrali e abbellire sontuosamente riti e monumenti di cui
siamo ancora fieri, quando ne ammiriamo la grandiosità, la bellezza ed il
lavoro.
Ma il Signore Gesù non chiese
questo e, in tutta la sua vita, visse poveramente. Egli proclamava la legge che
non è un regalo a Dio, ma la condizione e il segreto che Dio ci offriva per
maturare sapienza e libertà. Il Signore chiese il rispetto della legge perché
ci voleva e ci vuole grandi. La legge era sapienza, era lo sviluppare al meglio
la nostra vita che dal Signore stesso è stata modellata come il capolavoro
creato a sua somiglianza. La legge è libertà perché ci scioglie da tutte le
altre dipendenze. Dio è uno solo, mentre, attorno, gli esseri umani avrebbero
trovato altri dei che avrebbero tentato di convincerli dei loro messaggi più
interessanti, più coinvolgenti, più promettenti di felicità. Tu “temi ed ama”
perché il mondo è difficile e pericoloso: stai attento ai pericoli della
sfiducia e della dipendenza. Apri gli occhi sulle tante esperienze di
lacerazioni quando ci si compromette con il potere, la vendetta, il danaro, le
droghe. “Temi” per camminare fiducioso e fidati solo di Dio. “Ama”perché hai
scoperto che il Signore è l’unica speranza e nel cuore si consumano tutte le
ragioni di valore e tutti i sentimenti. “Ama con tutta l’anima” e l’anima è la
vita, è il respiro dell’esistenza. “Ama con tutte le forze” e il Signore ci
ricorda che vanno messi in gioco capacità, impegno intelligenza ed anche le
possibilità finanziarie. “Disposto a vivere con intensità e ad offrire tutto.”
Il Signore sa che un popolo si
costituisce per un seguito di generazioni per cui non c’è solo una
responsabilità personale, ma anche educativa. Educare è “ripetere e parlare”,
cioè impegnare sulla memoria e sulla razionalità le proprie energie. Ripetere
significa educarsi ed educare poiché ripetere obbliga alla coerenza. Il
parlare, ovunque, riporta al dialogo e, quindi, ai perché, alle verifiche, alla
comprensione reciproca, alla fiducia e alla consapevolezza di ciò che conta
davvero.
EPISTOLA Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 13, 8-14Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità. E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Paolo avvertiva, mentre scriveva
questa lettera, un certo disagio dei cristiani di fronte alle leggi dello
Stato, ma, ancor di più, di fronte al comportamento delle autorità civili.
Siamo attorno al 57/58 d.C., nel periodo di Nerone che finora si era comportato
in modo eccentrico, pur non essendo ancora giunto alla persecuzione dei
cristiani. Tuttavia nel mondo ebraico (e forse in qualche cristiano)
serpeggiava un malcontento corrosivo e stava covando la rivolta che esploderà
negli anni 70 d.C. a Gerusalemme. Così il capitolo 13 è dedicato al rapporto
tra cristiani e le autorità civili. Nella prima parte (vv 1-7) Paolo si
raccomandava di non lasciarsi
coinvolgere in avventure, sapendo rispettare le leggi dello stato e
pagando le tasse. “Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore
della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi
pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di
Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le
tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il
rispetto, il rispetto” (vv 6-7).
E se si resta in dubbio sul come
ubbidire od è difficile da comprendere,
la legge di Dio può essere sintetizzata
sotto un unico comando: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (v 9). Questo
garantisce di non sbagliare. Quando ti preoccupi di fare il bene dell’altro e
di volergli bene oltre il tuo bene e a somiglianza di come vuoi bene a te
stesso o come desideri che gli altri si comportino con te, allora compi la
legge, e offri la pienezza a cui il Signore Gesù ci avvia.
Ma l’amore al “tuo prossimo” si
allarga ad ogni membro della famiglia umana, unificata in Cristo (Gal 3,28;Mt
25,40), e non solo ai connazionali del medesimo popolo, come si intende nel
Levitico.
Siamo nel tempo nuovo, nuovo perché supera il ritmo delle
stagioni ed entra nel tempo della risurrezione, il tempo della fine e della
pienezza, il tempo del popolo di Dio che cammina, costituito come Chiesa..
Il cristiano, fin d’ora «figlio
del giorno», strappato dal mondo malvagio (Gal 1,4) e dal dominio delle
tenebre, partecipa al Regno di Dio e del suo Figlio (Col 1,13); è già cittadino
del cielo (Fil 3,20). Questa «situazione», così nuova, orienta tutta la morale
(6,3s).
Siamo nel tempo ricco dello
Spirito e le coppie: giorno-notte, luce-tenebre, veglia-sonno ci immettono nel
tempo nuovo, visitato dal Signore risorto. Si sente la riflessione battesimale
per cui questo è tempo di grazia. Ci dovrebbe far ricordare il Qoelet che ci
richiama: “Non è saggio chi afferma che i tempi antichi sono migliori del
presente” (Qo7,10).
L’obbedienza e la collaborazione
alla legge porta però il credente ad essere attento che veramente si rispetti
il bene di ciascuno. Altrimenti non ci si dovrebbe sottomettere alla legge (ma
qui si entra nella “prospettiva dell’obiezione di coscienza”).
Resta comunque il dramma del male
che tocca il tempo e noi vi siamo dentro, in pericolo di accomodarci e di
dormirvi tranquilli. Come cristiani, siamo richiamati alla speranza e
all’attesa del giorno nuovo, alla luce che sta per apparire e alla speranza,
splendida di sole, di un rinnovamento.
VANGELO Lettura del Vangelo secondo Luca 10, 25-37In quel tempo. Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Non so se succede anche a voi; ma il rischio di fronte agli episodi e
alle parabole più note e lette è quello di sorvolare, di presumere di saperne
già i significati, gli insegnamenti.
E’ che non ci si sente messi in crisi; cosa che invece dovrebbe
succedere se veramente vogliamo essere toccati dalla Parola di Gesù. Ed è tanto vero che, se ci soffermiamo un
momento sulla prima parte del racconto, il dottore della legge sa benissimo
qual è la risposta alla sua domanda, tanto che Gesù glielo riconosce, e ha
capito che c’è un significato ulteriore alla sua risposta, perciò insiste “volendo giustificarsi”.
Mi fa pensare questo suo bisogno di giustificarsi al fatto che, come
noi, si ferma alla lettera delle parole e non riesce a fare il passo ulteriore,
del resto richiamato da Gesù “fa’ questo e vivrai”.
Cioè: non si sente messo in crisi da ciò che Gesù dice.
E’ lo stesso atteggiamento del sacerdote e del levita, che “vedono”, ma
passano oltre.
Che cosa ci vuole allora per essere messi in crisi, cioè per essere
veramente toccati dalla Parola di Gesù?
In altre parole: non basta vedere o sapere, ma bisogna “farsi vicino”,
attraversare la strada , chinarsi, condividere il bisogno nella sua reale
concretezza, esporsi, darsi da fare, pagare di persona.
Tutto questo perché ci si lascia davvero smuovere dalla sofferenza,
dalle ferite, dall’estremo isolamento in cui l’altro, che è persona umana come
me, percosso a sangue e lasciato mezzo morto, abbandonato sul ciglio della
strada, si trova in mezzo all’indifferenza dei più.
Per il samaritano l’avere compassione
non è semplicemente un sentimento, ma è qualcosa che lo turba in
profondità (la parola greca indica
uno sconvolgimento profondo, addirittura viene usata per i dolori del parto),
che lo fa sostare, chinarsi per lenire e curare le ferite, preoccuparsi per
l’immediato futuro del malcapitato.
A questo punto è persino troppo scontato fare riferimento ai rifiutati
e agi abbandonati di cui sappiamo e vediamo giornalmente le immagini, perché
ciascuno di noi, nel suo piccolo, deve essere provocato ad un esame di
coscienza soprattutto nell’orizzonte dl Giubileo della misericordia. Infatti la
misericordia non si riduce ad un ‘pio’ pensiero
o ad una compassione superficiale, ma provoca ad affrontare i problemi,
mentre ci fa chinare su chi nel nostro
mondo non solo è abbandonato nel suo bisogno, ma è anche bollato dai nostri giudizi di inimicizia e dalle nostre
paure.