5^ domenica dopo Pentecoste

LETTURA 
Lettura del libro della Genesi 18, 1-2a. 16-33

In quei giorni. Il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Quegli uomini andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». Come ebbe finito di parlare con Abramo, il Signore se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione.

Il Signore ha visitato Abramo  presso la sua tenda presentandosi come un gruppo di 3 viandanti e Abramo si é  preoccupato di dar loro una ospitalità possibile con la sua situazione di uomo del deserto, ma è stato munifico. Si sente ringraziato di questa generosità gratuita con una promessa gratuita, splendida, di vita: nonostante la sua avanzatissima età e quella della moglie Sara, avranno un figlio (18,1-15).
Abramo è amico di Dio e Dio, come ad un amico, gli confida le sue scelte.  Il Signore ha udito grida di sofferenza salire a Lui ed è sensibile al dolore di coloro che subiscono ingiustizia. «Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» (v 21). Il Signore vuole unire insieme giustizia e misericordia. Ma Abramo pone, come richiesta, il problema di tutti i tempi: “Ma i buoni devono soffrire con i cattivi e per loro causa?”
In Israele  è fortissimo il sentimento della responsabilità collettiva. Non ci si domanda qui se i giusti possano essere risparmiati individualmente. Ci si domanda se un piccolo numero di giusti può allontanare il castigo contro tutta la città. Di fatto, Dio salverà Lot e la sua famiglia (19,15-16); ma il principio della responsabilità individuale sarà espresso solo in Dt 7,10: “Riconosci dunque il Signore, tuo Dio: egli è Dio, il Dio fedele, che mantiene l’alleanza e la bontà per mille generazioni con coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti, ma ripaga direttamente coloro che lo odiano, facendoli perire; non concede una dilazione a chi lo odia, ma lo ripaga direttamente”. I testi si moltiplicheranno: Dt 24,16; Ger 31,29-30; Ez 14,12.18.
Dovendo tutti subire la stessa sorte, Abramo domanda solo se alcuni giusti non potrebbero ottenere il perdono di molti colpevoli. Le risposte di Dio sanciscono il ruolo salvifico dei santi nel mondo. Abramo mercanteggia al ribasso la misericordia, ma non osa discendere al di sotto di dieci giusti.
Perché si è fermato a 10? Geremia ed Ezechiele oseranno scendere ancora di più, intuendo che Dio perdona il suo popolo se incontrasse anche un solo giusto. Va ricordato Geremia: "Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò" ( (5,1).  Va ricordato Ezechiele: " Ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato." (22,30). E il profeta Isaia (cap 53) garantisce che la sofferenza del solo “Servo di YHWH” salva tutto il popolo; ma quest’annuncio non sarà compreso che quando si manifesterà Gesù.
Questo testo, allora, pone il significato ed il valore della preghiera di intercessione. Intercessione non è solo il pregare Dio ma il rivolgersi a Dio in favore di un altro. L’intercessione mostra che nel cuore del credente ci sono amore e fiducia verso il Signore e abitano attenzione, compassione ed amore verso il popolo, verso l’amico, verso colui che soffre. La Scrittura è ricca di preghiera e di gesti di intercessione, propri dei profeti. E noi, intercedendo, entriamo nella prospettiva dei profeti: come loro iniziamo con il Signore un dialogo di fiducia e di sostegno. Quando sentiamo e vediamo cronaca e fatti quotidiani in Televisione o sentiamo notizie, possiamo intervenire con il Signore e fidarci che possa fare ciò che io non sono capace di fare. L’amare il mio prossimo comincia qui e si fa grande  e coinvolgente. E’ gratuito e nascosto eppure, anche per mezzo nostro, dà forza a realtà lontanissime di cui mi faccio partecipe ed intercessore.

EPISTOLA 
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 4, 16-25 

Fratelli, eredi si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi – come sta scritto: «Ti ho costituito padre di molti popoli» – davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono. Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne «padre di molti popoli», come gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

La storia d’Israele, come Paolo sa leggere, percorre secoli di storia, drammi e crolli totali, eppure il popolo di Abramo ha mantenuto la sua vocazione di essere speranza attraverso Gesù e proprio attraverso Gesù Abramo diventerà padre di molti popoli.
La fede di Abramo fu salda, coraggiosa, addirittura difficilmente proponibile, se dovette accettare la promessa di diventare padre, mentre vedeva sfiorire il corpo e la vita sua e di Sara. E si sentì dire che sarebbe stata sua la terra che abitava, eppure non fu mai padrone  di un pezzetto di terra in Israele, salvo di una grotta che pagò a caro prezzo per seppellirvi Sara quando morì (Gen 23,9).
Abramo ebbe fede e su questa fiducia impostò tutta la sua vita. Così la sua discendenza ne beneficiò poiché la fede di Abramo divenne garanzia di amicizia e di fedeltà di Dio “per tutti noi”, dice Paolo.
 Scopriamo allora rapporti nuovi tra Dio e la nostra storia ed il nostro futuro.
E’ il regalo dei santi che ci viene offerto e che essi continuamente ripropongono a Dio. La loro generosità e le loro scelte coraggiose di amore diventano modelli ma anche preghiera e intercessione e salvano anche la nostra realtà come salvano la  Chiesa  sul suo lungo e difficile cammino.
Certo, non sappiamo quanto male ci è stato risparmiato, quanta guerra è stata sviata, quanta protezione ci è stata offerta. Noi conosciamo solo ciò che è avvenuto,e conosciamo la promessa di Gesù.
Ma sappiamo anche di avere molti mediatori: gli angeli che preghiamo. E prezioso è insegnare ai piccoli di pregare l’angelo custode perché ci custodisca e ci protegga.  Per fede sappiamo di avere Maria, come mediatrice e madre. In particolare Gesù ci ha incoraggiato a riconoscerlo come grande mediatore presso il Padre, il mediatore per eccellenza. Gv 15,7 “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”.  Gv 16,24 “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena”. Gc 4,2 “Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete”. 
Paolo ci vuole educare a riscoprire che la vita è il tempo della fede, abitata da una Presenza che non sta ai nostri ritmi, ma ci accoglie ed progetta la nostra liberazione. Tutto è gratuitamente offerto. Tutto è gratuitamente accolto. In prospettiva  va costruito un mondo nuovo, con grandi valori di rispetto e di attenzione, con la responsabilità verso i deboli ed i poveri, con il coraggio di bandire la guerra e costruire sul dialogo, la collaborazione e la solidarietà, con opere, attese, intercessioni e progetti di vita. Da questo cammino non devono mancare la fiducia negli uomini e quindi l’impegno nella politica come coesione, volontà comune di operare per il meglio di tutti.

VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Luca 13, 23-29 

In quel tempo. Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».

Non è che la domanda su quanti potranno essere i salvati viene fatta a Gesù di punto in bianco.
Ci troviamo in un contesto preciso, che è indicato nel versetto precedente (qui  omesso): “E passava per città e villaggi, insegnando e facendo il cammino  verso  Gerusalemme”(13,22)
Siamo cioè nella sezione del vangelo di Luca che va sotto il titolo “Verso Gerusalemme”, in cui l’evangelista vuole inserire gli insegnamenti e i gesti di Gesù nella prospettiva dei fatti decisivi della sua morte/risurrezione, che accadranno  appunto a Gerusalemme.
E’ il cammino verso la Croce, che radicalizza tutte le azioni e le parole di Gesù, ed esprime  soprattutto la preoccupazione di preparare i discepoli alla grande fedeltà e testimonianza.
C’era allora nelle scuole rabbiniche il dibattito teologico sulla salvezza del popolo dell’Alleanza, che spesso viene trasgredita: chi si salverà? Saranno pochi? o tanti? o tutti?
Gesù sorvola: a Lui interessa togliere a chi lo interroga su questioni a tavolino la falsa sicurezza che può derivare da un’errata concezione dell’appartenenza al Signore.
Infatti la salvezza non è scontata per nessuno. Dipende da Dio e dal tuo rapporto di fiducia in Lui, se si vuole, dipende dalla tua fede nella gratuità della misericordia di Dio.
E subito c’è l’immagine della ‘porta stretta’, che, oltre alle varie e consuete interpretazioni, fa venire in mente concretamente  l’identificazione che nel vangelo di Giovanni è esplicitamente dichiarata, di Gesù con la porta  (“Io sono la porta”), ma soprattutto il richiamo a non lasciarsi affascinare dai grandi portoni e portali del potere e dei paludamenti pubblici, che ostentano desiderio di ammirazione e di superiorità, ma a prediligere le porte umili di tutti i giorni, della gente comune, che appunto non abbagliano con la loro grandiosità, ma  accomunano nell’accalcarsi della gente che si confonde e non accampa privilegi di passaggi.
La porta stretta è la porta dell’umiltà che richiede appunto lo sforzo di una scelta non facile: quella di accettare di non essere messo in risalto, di non mostrarti vanamente e falsamente arricchito. Di non far parte del corteo degli applauditi.
Il rischio è quello di non essere coerenti sino alla fine, di fuggire , di essere respinti per la propria indecisione, di perdere tempo, di indugiare nell’ingiustizia.
Il versetto di chiusura (anche questo omesso) è: “Ed ecco, ci sono ultimi che saranno primi e ci sono primi che saranno ultimi”.
L’invito è universale, a partire da quelli che lo seguono con il cuore nel cammino verso Gerusalemme.