6^ domenica di Pasqua

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 21, 40b - 22, 22

In quei giorni. Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo: «Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi». Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti. Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco. Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”. Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi lui che mi diceva: “Affréttati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me”. E io dissi: “Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. Ma egli mi disse: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”». Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!».

 
 Dopo il terzo viaggio missionario, Paolo ritorna a Gerusalemme, consapevole dei pericoli che deve attraversare, ma sente che deve ubbidire allo Spirito e rendere un servizio ai fratelli. Si sono sparse voci che predica ai pagani e che li porta alla fede di Gesù attraverso Mosè che poi non rispetta nelle sue leggi. Anzi insegna sia ai giudei che ai pagani che accolgono la Parola di Gesù e credono in Lui di “non circoncidere più i loro figli e di non comportarsi secondo gli usi tradizionali” (At 21,21).
Paolo incontra, invece, fratelli accoglienti, fa visita a Giacomo apostolo e, mentre  viene informato di tutte le dicerie contro di lui, gli attestano fiducia e venerazione. Tuttavia un giorno,, nel tempio, Paolo viene riconosciuto e quindi sequestrato da persone che vogliono ucciderlo. Salvato dai soldati romani, in un trambusto in cui nessuno si raccapezza più per la confusione, prima di essere portato in caserma, Paolo chiede di poter parlare al popolo (v 39). Protetto dai soldati, pronuncia la sua prima difesa, riportata dagli Atti  (la seconda difesa è ricordata in At 24,10-21 e la terza in At 26, 2-23) e parla in ebraico, sorprendendo la gente che si incuriosisce e resta ad ascoltarlo in silenzio.
Paolo, mentre si difende, sviluppa una catechesi su Gesù. Ricorda, infatti,  che, sulla strada che porta a Damasco, lo  ha incontrato come "luce" e come "voce" (6-10) e rimproverato perchè “sta perseguitando la sua via” (v 4).
Paolo tiene a presentarsi come un fedele ebreo, studioso e osservante della legge, “come siete tutti voi" (3), e tuttavia, mentre sta avvicinandosi alla città, pretendendo di imprigionare degli eretici nel nome di Dio, proprio Gesù lo ha richiamato alla responsabilità di fedele. “Perché mi perseguiti?” (At 22,7).
Anche gli apostoli hanno dovuto scegliere e quindi comportarsi di conseguenza. Per esempio Pietro e Giovanni, arrestati, alle minacce del Sommo Sacerdote che li obbliga al silenzio, replicano: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi» ( At 4,19). Così Paolo, con molta semplicità, afferma che la sua coscienza lo ha costretto ad accogliere Gesù.
La volontà di Dio si è mostrata palese, senza illusioni o fantasie, ma chiara, esigente, esauriente. L'apparizione e le parole ascoltate pongono Gesù risorto come il nuovo modello di riferimento, il nuovo segno di Dio, la nuova strada per camminare verso la salvezza.
Ma questa voce, che ormai è l'unica sua guida, gli ha anche suggerito di camminare oltre  i confini e di evangelizzare il mondo intero. "Va', perché ti manderò lontano, alle nazioni" (v 21). Ma questo progetto è inimmaginabile per un ebreo e lo impaurisce poiché, in tale apertura, si consuma la contaminazione e il crollo della "predilezione di Israele" da parte di Dio. E Dio non può smentirsi, pensa chi crede nel Dio dei Padri. Eppure il Signore apre orizzonti nuovi perché vuole raggiungere ogni uomo ed ogni donna che egli ama. E proprio I suoi messaggeri, che hanno sperimentato, per primi, la paura, dentro di sé, e quindi il tradimento e il rifiuto verso di Lui, sono stati ricuperati da Gesù, dimostrando, per ciascuno, una amore profondo. Scelti e mandati perché sappiano, con umiltà e consapevolezza, parlare della misericordia e dell’accoglienza del Signore nel mondo.

 

EPISTOLA
Lettera agli Ebrei 7, 17-26

Fratelli, a Cristo è resa questa testimonianza: / «Tu sei sacerdote per sempre / secondo l’ordine di Melchìsedek». Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio. Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice: / «Il Signore ha giurato e non si pentirà: / tu sei sacerdote per sempre». Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore. Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.  

Gesù è sacerdote per sempre. Questa affermazione, che si ritrova nella “Lettera agli ebrei” fa molta impressione poiché Gesù non discende dalla tribù di Levi, la tribù che ha diritto e privilegio  per il sacerdozio e il servizio al tempio. E questo è un ruolo fondamentale nella religione ebraica. L’autore della Lettera riprende il riferimento a Cristo dal salmo 110,4, in cui si parla del sacerdozio regale del Messia. Il sovrano d’Israele partecipa alla funzione sacerdotale, come a suo tempo avevano fatto Davide (2 Samuele 6,13 ecc) e Salomone (1 Re 3,15). L'autore si preoccupa di dimostrare che il sacerdozio di Gesù è superiore al sacerdozio ebraico e mette in confronto il re Melchisedek e il sacerdozio della tribù di Levi.

Melchìsedek, che pure  è una piccola comparsa nella storia di Abramo (Gen 14,18-20), è re e sacerdote nella Gerusalemme pre-israelitica. "Questo Melchìsedek infatti, re di Salem, sacerdote del Dio altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’avere sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa. Anzitutto il suo nome significa «re di giustizia»; poi è anche re di Salem, cioè «re di pace». Egli, senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre”.( Eb 7,1-3). Gesù risorto, scelto dal Padre e non sacerdote per eredità, come i leviti, è sacerdote "per sempre" (v 17). Egli garantisce, insieme, secondo il compito sacerdotale, le due caratteristiche fondamentali del sacerdozio: la sua intercessione eterna in nostro favore presso il Padre e la fedeltà di Dio verso di noi: “Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” (7,24-25).
Gesù garantisce un cammino nuovo di speranza e permette di aprire di aprire gli occhi  sul nuovo volto di Dio che è fedele e porta salvezza. La Comunità cristiana ha ereditato questa consapevolezza per sé e per gli altri per cui, comunque, il Signore alimenta la fiducia e la speranza. Ogni credente è re, sacerdote e profeta dal giorno del battesimo, segnato con gli stessi caratteri di Gesù, ma è anche chiamato a questa forma preziosa di intercessione per un mondo che ha bisogno di pace, di perdono e di misericordia. Essere sacerdoti significa anche mostrare il volto di Dio e la sua misericordia nel mondo.

 

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 16, 12-22


 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

E’ un continuo rincorrersi  nei vangeli di queste domeniche di Pasqua  di parole di Gesù che rassicurano, incoraggiano, sostengono, consolano, stimolano i discepoli ad avere fiducia in quello che dice nonostante ciò che sta per accadere, perché lo Spirito, il ‘Suo’ Spirito, cioè la presenza del suo amore  non li lascerà orfani, parlerà in loro; anzi, li guiderà alla verità intera.
Se pensiamo che la parola “verità” in ebraico vuol dire ‘roccia’ e che questo termine è attribuito a Dio  (Dio è la roccia per eccellenza), il cammino verso cui ci guiderà lo Spirito è un itinerario a Dio che è sommo Amore.
Ecco perché Gesù invita alla gioia, ad una gioia che nessuno potrà togliere, perché si riverbera da un amore approfondito, che va sempre conosciuto perché inesauribile, sconfinato, un amore che non tradirà mai, che ti accompagnerà sempre, se gli lasci spazio.
E’ bello sentirsi dire “la vostra tristezza si cambierà in gioia”, oggi che siamo così circondati da lacrime e pianto e lamento grande, perché sembra che l’amore abbia perduto le tracce, e tutto il mondo sembra seminato di odio, di volontà di eliminare l’altro, di uccidere, massacrare.
Sembra davvero che il Signore se ne sia andato per sempre.
Eppure le sue parole ci richiamano: la vostra tristezza si cambierà in gioia, seguite il soffio dello Spirito, scoprite i germi di bene, di amore, di tenerezza, nascosti nelle pieghe della storia e della vostra vita, alzatevi, datevi da fare per lucidare gli occhi e il cuore, per accorgervi, per diffondere scintille di luce e calore di abbracci. 
Ne abbiamo tutti bisogno; e c’è chi ne ha più bisogno di un altro.
Lasciamoci contagiare dal desiderio di non lasciare il mondo così opaco com’è, e per quel poco o quel tanto che possiamo e che ci capita se solo ci guardiamo intorno, non perdiamo l’occasione di prenderci a cuore le persone che incrociamo e che il Signore ci fa incontrare nella vita.
Purché la nostra vita sia una ricerca e una risposta concreta al bisogno di amore che c’è nel mondo, che attraversa le nostre strade con le richieste di aiuto dei più poveri ed emarginati e ci interpella nelle nostre case. Apriamo le porte ed usciamo.
Non possiamo scusarci per una scarsa informazione: siamo noi che non vogliamo guardare, siamo noi che non vogliamo sentire.
Il Signore si fa vedere proprio in chi ha bisogno (“avevo fame... avevo sete… ero nudo...”) ed è lì che l’incontro con Lui si fa più vero.