6^ domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore

LETTURA Lettura del profeta Isaia 45, 20-24aCosì dice il Signore Dio: / «Radunatevi e venite, / avvicinatevi tutti insieme, / superstiti delle nazioni! / Non comprendono quelli che portano / un loro idolo di legno / e pregano un dio / che non può salvare. / Raccontate, presentate le prove, / consigliatevi pure insieme! / Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo / e chi l’ha raccontato fin da allora? / Non sono forse io, il Signore? / Fuori di me non c’è altro dio; / un dio giusto e salvatore / non c’è all’infuori di me. / Volgetevi a me e sarete salvi, / voi tutti confini della terra, / perché io sono Dio, non ce n’è altri. / Lo giuro su me stesso, / dalla mia bocca esce la giustizia, / una parola che non torna indietro: / davanti a me si piegherà ogni ginocchio, / per me giurerà ogni lingua. / Si dirà: “Solo nel Signore / si trovano giustizia e potenza!”».

Tutto il capitolo 45 esprime la fede di Israele nel Signore che dirige la storia, supera i confini d’Israele stesso e raggiunge l'umanità ( ci sono accenni alla creazione del mondo). Al centro del cammino, in cui Dio porta la salvezza, c'è un re, Ciro, che pure non conosce il Dio d'Israele, e che tuttavia ha la funzione di essere strumento del Signore stesso per la pace e la sicurezza del popolo. Nel Medio Oriente sono avvenuti sconvolgimenti e sono sorte realtà nuove. Dio nasconde la sua operosità nella storia del mondo, ma, al credente, deve restare la consapevolezza che è il Dio d'Israele l’autore della novità. Anche nel nascondimento, Dio conduce la sua opera e l'attuazione del suo disegno. Ai sopravvissuti delle lotte e delle tragedie ("i superstiti delle nazioni") viene rivolto l'invito che non è solo per "il resto d'Israele" ma per tutti popoli che, precedentemente, hanno creduto negli idoli: il Signore si rivolge loro chiedendo una testimonianza ed una requisitoria contro gli idoli che non possono salvare. Chiede loro di riflettere sulla storia e di scoprire che: "Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza".
Il termine “giusto-giustizia” si trova 3 volte: la prima richiama la fedeltà all’impegno preso, le altre due corrispondono alla Salvezza.
Questo testo ha una grande apertura universalistica che spesso si ritrova nei testi di Isaia (soprattutto dopo il capitolo 40: i testi del Secondo e del Terzo Isaia).
Così anche noi siamo tutti invitati a ripensare con intelligenza agli avvenimenti dei nostri tempi: come credenti, siamo invitati a fare mature analisi sulla storia, sulla crisi, sul cammino del nostro mondo sempre più globalizzato. “Quali sono i segni di Dio e verso quali orientamenti siamo invitati ad incamminarci? Come valutiamo e prendiamo posizione contro le guerre, la fame nel mondo, gli egoismi dei paesi ricchi, le chiusura nel benessere, la scoperta che nessuno di noi è autosufficiente? E ognuno di noi ha bisogno della solidarietà, dell'alleanza, delle competenze, delle materie prime, dei progetti, della forza dell'altro per costruire insieme la pace! Ma allora quali sono gli idoli e quale la giustizia?”

EPISTOLA Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 2, 5c-13Fratelli, per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo. Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

Paolo ha abitato molto tempo ad Efeso e quindi ricorda questo territorio e questa comunità con molta fiducia. Scrive per i cristiani di Efeso e dei villaggi vicini mentre si trova in carcere a Roma, negli anni 61-63, in attesa di giudizio per essersi appellato a Cesare.
Paolo, dopo i saluti, inizia la lettera, richiamando l’azione del Padre, del Figlio e dello Spirito per la salvezza degli uomini, indicando l’esemplare comunione Trinitaria già prima della creazione e garantendo che essa è dono alla comunità dei credenti nel tempo della salvezza di Gesù.
Il Signore, già prima della creazione, aveva scelto gli uomini affinché vivessero nella carità come santi e immacolati, facendo sì che – abitando in questo mondo – diventassero tutti figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo. La supremazia di Gesù, fondamentale per la fede dei credenti, offre “uno Spirito di sapienza e di rivelazione” (v 17). Così ci può essere consapevolezza che il Signore ha fatto  un popolo nuovo poiché egli è "morto per le colpe ed i peccati" (v 1.5) e il Padre "ci ha fatti rivivere con Cristo" (v 5). Quello che ci ha salvato, perciò, non sono state le opere, o i meriti, guadagnati di conseguenza, ma ci hanno conquistato l'amore e la grazia, quindi la gratuità di Dio che hanno fatto il miracolo di questa salvezza che continua nel cuore dei credenti. Nella grazia (ripetuta 3 volte) noi riceviamo la vita nuova (la risurrezione) e la dignità. E sempre per questa gratuità possiamo sedere nei cieli per giudicare tempi,  opere e persone (immagine di potere). "Per la grazia (dono di Dio) nella fede (nostra partecipazione) siete stati salvati" e non per le opere., “perché nessuno possa vantarsene “ (v 9). Sul dono, sull'amore di Gesù, sulla pienezza e la gratuità S. Paolo continua la sua ricerca e il suo insegnamento. Egli vuole che passi dentro di noi questa consapevolezza che diventa anche novità e struttura fondamentale del vivere, della pace, del cammino della giustizia. Solo tale consapevolezza della piena gratuità rimette in discussione i criteri di individualismo, di chiusura e quindi di difesa e di paura.
Paolo non vuole certo far mancare l'aspetto di responsabilità legato all'impegno, la dimensione etica che è affidata alla nostra coscienza e libertà. Perciò "siamo opera sua (di Dio), creati in Cristo Gesù" e impegnati ad operare nel mondo gesti e comportamenti buoni, che diventano criteri nuovi di vita. Non sono certo una nostra invenzione ; ma il corredo di generosità e di bontà lo organizza il Signore che ci fa attenti: questi sono essi stessi doni, coerenze, prospettive che sorgono in conseguenza: noi siamo stati “creati per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" (v 10).
Nel cammino verso il Signore è importante il “ricordare”, e quindi ripensare a come eravamo, al nostro timore ed indifferenza, alla nostra paura ed egoismo a cui accettavamo, senza speranza, di essere sottomessi. Eravamo lontani, e quindi senza riferimenti, “senza speranza e senza Dio  nel mondo” (v 12). Ora “invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo” (13).

VANGELO Lettura del Vangelo secondo Matteo 20, 1-16In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».


Il rischio cui ovviare oggi è quello di leggere questa parabola in termini economici e sindacali o comunque commerciali. 
Infatti non si tratta di giustizia quantitativa bensì di una giustizia qualitativa: tutti devono avere una pari dignità umana; dignità che nasce dall’esigenza  di avere il necessario per vivere, indipendentemente dalla quantità di prestazioni realizzate  o dalle circostanzi temporali.
Il piano della giustizia ovviamente è necessario per regolare i rapporti tra le persone, ma Gesù va oltre: ogni persona, anche quelle dell’ultima ora sono importanti come quelle della prima, e in questo senso viene pronunciata.
Infatti sul piano della dignità  e dell’umanità tutti gli uomini – e specificherei, perché non è così scontato, le donne e i bambini e comunque gli esseri fragili o ‘diversi’ che risultano automaticamente emarginati- sono uguali.  Non ci possono né devono esserci privilegi. 
Gesù ce lo ricorda espressamente  con questa parabola che ci fa aprire la riflessione su quelli che anche oggi e anche da noi sono considerati gli ultimi nella vita e nella storia e sul modo con cui li trattiamo o li escludiamo.
Il richiamo allo sguardo (la frase “oppure tu sei invidioso perché io sono buono” andrebbe più correttamente tradotta “oppure non è il tuo occhio ad essere cattivo perché io sono buono”?), tipico del modo di pensare ebraico che affida agli occhi la manifestazione del proprio atteggiamento interiore, esprime l’incomprensione totale di quanto ha fatto Gesù.
Qui infatti non si tratta di giustizia, ma di bontà.  Giovanni Battista faceva un discorso di giustizia e i discepoli lo capivano  (e anche noi);  Gesù invece fa un discorso di bontà:  la bontà non esclude la giustizia, ma la eccede.
E’ inevitabile la domanda:  che cos’è la bontà? E in particolare la bontà di Dio?
La bontà non coincide con la benevolenza, anche se la include, né con l’elemosina e la cura o con la gentilezza, ma è prima di tutto riconoscere, credere al valore, alla positività dell’altro e degli altri e quindi non puoi vantare privilegi o riconoscimenti particolari, ma sentire e sentirti chiamato alla comune umanità che ti rende fratello e sorella di tutte le creature. Diversi, perché è molteplice l’arcobaleno del mondo, ma sullo stesso piano.
La bontà perciò previene, va oltre, considera il bene fondamentale delle persone e ciò che le fa vivere in pienezza, liberandole dal bisogno (e non c’è bisogno solo di pane, ma di sentirsi utili e non accantonati o “vegetativi”, sfaccendati come gli operai dell’ultima ora) e facendole crescere valorizzando le loro capacità.
Addirittura la bontà non fa distinzione tra chi c’è prima e chi arriva dopo; anzi considera questi ultimi menomati per il fatto di non aver avuto la possibilità di “lavorare” per costruire un mondo secondo i criteri di Dio.
Vale la pena di chiederci: quali sono questi criteri di Dio?