Lettura
Isaia.
55, 4-7.
Così dice il Signore Dio:
1[« O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. 2Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. 3Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide.]. 4Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. 5Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. 6Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona».
Ho
riportato il testo completo, a cominciare dal primo versetto del cap. 55 per
inquadrare l’annuncio profetico che inizia, nella liturgia, dal versetto 4
(testo di oggi). Il Signore, attraverso il profeta (in questo caso è ancora la
parola del Secondo Isaia), invita ai beni della nuova alleanza (vv1-5) e quindi
incoraggia a convertirsi (vv 6-11) mentre i primi due versetti (1-2) portano
ancora all’immagine del banchetto della sapienza ( come in Proverbi.9,5-6 e Siracide 24,19-21). Il Signore sta
proponendo scelte e realtà nuove che vanno capite. Sta avvenendo come una
rivoluzione nella vita dei deportati e debbono sentirsi preparati a scegliere.
All’orizzonte
si intravede la possibilità di ritornare a Gerusalemme, ma il profeta capisce
che ormai la situazione degli ebrei a
Babilonia non è così drammatica come poteva sembrare all’inizio. Anzi, via via,
pur con i disagi di una popolazione straniera, ci si è abituati a una linea
vita, tutto sommato, soddisfacente. La maggior parte si è adattata, si è
stabilita ad una vita passabile. Non
pensa affatto a trasferirsi.
Con
un po’ di sacrifici hanno fatto dei risparmi ed ora si preoccupano anche di
comprare terreni e case che stanno crollando di prezzo. E’ gente, dice il
profeta, che non ha né fame e né sete; ma
spendere per rimanere è come comprare ciò che non sazia. Di fatto quelli
che tornano non trovano le strade lastricate, né il trionfo dei reduci. Trovano
miseria e difficoltà di ogni genere,
compresa l’ostilità dei presenti a Gerusalemme che li vedono come intrusi e
pieni di pretese.
E’
il dramma di chi deve intravedere una strada di libertà che non è splendida e
rassicurante,ma piena di fatica. Dio non illude, chiede fiducia e il coraggio
di guardare l’essenziale. Solo dopo molto tempo le difficoltà si scioglieranno
lentamente. Colui che viene, però, ha un
progetto molto più ampio delle attese del popolo d’Israele. Egli chiamerà tutti
i popoli e non si impegnerà a sconfiggere ed a cacciare . Egli porterà la
misericordia e la speranza per i popoli. E i deportati, che potrebbero tornare,
sappiano rivedere i propri pensieri e le
proprie attese. Il popolo che ritorna sappia capire e scopra il nuovo volto di
Dio poiché è accogliente. Se non sei accogliente tu, rischi di diventare
empio ed iniquo. “Convertiti anche tu”.
Poiché, il testo di Isaia continua, “I miei pensieri non sono i vostri
pensieri, e le mie vie non sono le vostre vie. Quanto il cielo sovrasta la
terra,,tanto le mie vie sovrastano le vostre vie e i miei pensieri i vostri
pensieri” (55,8-9). Questo testo ci prepara all’immagine di Gesù: “il solo
giusto” che si mette in fila tra la
gente che chiede perdono e domanda di essere
battezzato.
Epistola
Efesini.
2, 13-22
Fratelli,13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Era
famosa e drammatica l’esclusione che gli
stranieri dovevano accettare, qualora volessero entrare nel tempio di
Gerusalemme. Un muro, alto circa un metro e mezzo, circonda tutta l’area sacra
del tempio ed è vietato l’ingresso ai pagani, pena la condanna a morte. Lo
ricordano 13 piccole lapidi con una scritta in greco e latino. In tal modo
viene garantita la separazione e la lacerazione dell’umanità. Il popolo
d’Israele è convinto che la differenza e la esclusione fosse voluta da Dio: d a
una parte l’elezione e dall’altra l’esclusione. “Un tempo voi- e Paolo si
rivolge ai greci di Efeso - eravate morti a causa dei vostri peccati”. Ma poi fa riferimento anche al suo popolo:“Anche noi, per le nostre
passioni carnali eravamo per natura meritevoli d’ira” (2,1-3). “Ma Dio, che è
ricco di misericordia, da morti che eravamo ci ha fatto rivivere con Cristo;
per grazia siete stati salvati” (2,4-5). Il pensiero viene ripreso:
”Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza
d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel
mondo. Voi esclusi dal popolo di Dio, siete diventati vicini grazie al sangue
di Cristo” (2,12-13). In questa lettura
viene sviluppata, si può dire, la teologia della memoria: il prima e il poi del
mondo pagano, il prima e il poi del mondo ebraico. Tra il presente e il
passato, si stabilisce la pienezza della chiesa. E al v 12, riportato sopra, sono elencati 5 privilegi
tradizionali, attribuiti al popolo di Dio, dei quali il popolo pagano è
sprovvisto: avere il Cristo ( ma andrebbe chiarito se qui si parla della
funzione del Messia o precisamente di Gesù), appartenere alla stirpe d’Israele,
essere destinatari dell’alleanza conclusa da Dio, avere una speranza, avere la
convinzione di conoscere il vero Dio e di non essere considerati come dei
“senza Dio” (in greco atheos).
“Gesù
è la nostra pace”: colui che abbatte i muri di separazione e lo farà sempre più, fino a raggiungere
tutti i popoli nel presente e nel futuro. Dio ha creato tutta l’umanità e sente
che ciascuno è suo figlio. Il male che ci circuisce e ci inganna commuove anche
il cuore di Dio poiché ogni persona viene truffata. Così Dio ha abrogato la legge giudaica e, con la sua venuta tra noi, ha abolito la
distanza tra cielo e terra, annunciando la pace.
Nel
brano di oggi, Paolo richiama l’universalità di questa chiamata e il
superamento della separazione tra giudei e pagani, realizzato, nella storia,
attraverso l’annuncio della pace portata da Gesù ai lontani e ai vicini
(2,17).Poiché l’impero ha goduto di circa cinquant’anni di pace, al tempo di
Cesare Augusto, tutti si sono accorti del valore della serenità nella
convivenza, dopo le lunghe guerre civili del secolo precedente. Ora quel richiamo,
fattosi sempre più esperienza impellente, dovrebbe poter entrare nelle
coscienze di ciascuno per costituire una attesa, una responsabilità ed una
fraternità.Ma la pace di Gesù è ancor più capace dell’impero di portare frutti e va annunciata ai vicini ed ai lontani,
superando le lacerazioni, le diffidenze, le esclusioni. Così “possiamo
presentarci insieme al Padre nell’unico Spirito” (2,18).
E
c’è qui, come nascosto, il richiamo di una cerimonia di corte. Uniti
insieme giudei e pagani, vicini e lontani,
si presentano insieme, in una imponente e solenne processione verso il Padre.
E
infine, nel testo, ritorna l’immagine
del tempio, sempre presente nel ricordo di Paolo e di ogni ebreo osservante. Si
ripropone qui, come immagine, della comunità edificata sopra il fondamento
degli apostoli e dei profeti”, mentre Gesù è “la pietra angolare di tutto
questo edificio”. Poiché il richiamo al tempio è il richiamo alla “Presenza di
Dio, (la Shekinà), per Paolo è importante questa identificazione poiché la comunità
è il tempio vivente e Gesù vive in questa comunità come costruttore di pace,
come attenzione al mondo, come ministero di grazia. E se gli apostoli hanno
comunicato, attraverso le loro parole, la loro esperienza del dono di Gesù,
divenendo così fondamento della nuova costruzione, ciascuno edifica la sua
comunità perché egli stesso è diventato “abitazione di Dio per mezzo dello
Spirito”.
Questa
riflessione su Gesù, che porta la pace, sulla fondamentale uguaglianza di
ciascuno agli occhi del Padre perché amato da Gesù, è aperta, come una presenza
nuova nel mondo. Egli è capace di ribaltare i criteri che deformano i rapporti
sociali. La pace è un bene essenziale di armonia, di gioia, di rispetto ad ogni
persona e quindi di giustizia, di solidarietà, di responsabilità. Le strade per
la pace sono molte ma bisogna costringersi con energia e speranza ad itinerari
di mediazione.
- Lo
ha fatto papa Francesco senza clamore per superare la separazione tra USA e
CUBA e quindi combattere la povertà.
- Lo
fece Giovanni Paolo II impegnandosi per far crollare il muro di Berlino.
- Lo
fece ancor prima Giovanni XXIII quando,
nell’ottobre del 1962, si profilò l’inizio della III guerra del XX secolo,
questa volta addirittura atomica, volendo l’URSS dotare di missili nucleare la
stessa CUBA. Ci fu una mediazione
drammatica e fortemente sconsigliata negli ambienti Vaticani. Ma Giovanni XXIII
continuò imperterrito a mediare tra Kennedy e Nikita Krusciov fino all’impegno,
da parte dell'URSS di ritirare i missili in cambio della garanzia di non
aggressione all'isola da parte degli Stati Uniti di America.
Vangelo
Marco. 1, 7-11
In quel tempo.Giovanni 7proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Nello scarno racconto di Marco l’episodio del battesimo di
Gesù è presentato nei suoi tratti essenziali.
Gesù giunge da Nazareth proprio per questo, per accomunarsi a
tutti gli uomini ed essere immerso (battezzato) da Giovanni nel Giordano.
Ed
è proprio in e per questa condivisione di umanità (sta dalla parte dei
peccatori, si mette in fila con i peccatori, dirà Matteo) che
i “cieli si squarciano” per lasciar passare lo Spirito, cioè la vita di
Dio, l’amore di Dio.
È
il senso della Incarnazione: i cieli si aprono per l’umanità che può
incontrarsi con Dio. Fa riflettere questo mescolarsi di Gesù con gli altri
senza aprirsi con i gomiti una strada privilegiata o prendere le distanze dagli
altri poveracci, che hanno bisogno, attraverso il battesimo, che compiono con
Giovanni, di sentirsi perdonati, consolati, ripresi nella stima di Dio.
Sentirsi “qualcuno” perché c’è Qualcuno che li ama e si interessa di loro,
della loro piccolezza, della loro incapacità. E Gesù condivide questo bisogno,
perché, solo stando effettivamente dalla parte diversa, ci si rende conto di
loro e si dà loro quell’importanza che nasce dal cuore di Dio. In Gesù infatti
ci riscopriamo amati da Dio, oggetto del compiacimento di Dio.
Non
si tratta solo per Gesù di essere chiamato “Figlio mio amatissimo”,
ma per tutti scoprire di essere in Gesù figli e figlie di un Dio che si
manifesta come Padre.