LETTURA
Lettura del libro dei Numeri 13, 1-2. 17-27
In quei giorni. Il Signore parlò a Mosè e disse: «Manda uomini a esplorare la terra di Canaan che sto per dare agli Israeliti. Manderete un uomo per ogni tribù dei suoi padri: tutti siano prìncipi fra loro». Mosè dunque li mandò a esplorare la terra di Canaan e disse loro: «Salite attraverso il Negheb; poi salirete alla regione montana e osserverete che terra sia, che popolo l’abiti, se forte o debole, se scarso o numeroso; come sia la regione che esso abita, se buona o cattiva, e come siano le città dove abita, se siano accampamenti o luoghi fortificati; come sia il terreno, se grasso o magro, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi e prendete dei frutti del luogo». Erano i giorni delle primizie dell’uva. Salirono dunque ed esplorarono la terra dal deserto di Sin fino a Recob, all’ingresso di Camat. Salirono attraverso il Negheb e arrivarono fino a Ebron, dove erano Achimàn, Sesài e Talmài, discendenti di Anak. Ebron era stata edificata sette anni prima di Tanis d’Egitto. Giunsero fino alla valle di Escol e là tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi. Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d’uva che gli Israeliti vi avevano tagliato. Al termine di quaranta giorni tornarono dall’esplorazione della terra e andarono da Mosè e Aronne e da tutta la comunità degli Israeliti nel deserto di Paran, verso Kades; riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti della terra. Raccontarono: «Siamo andati nella terra alla quale tu ci avevi mandato; vi scorrono davvero latte e miele e questi sono i suoi frutti».
Il racconto di oggi inizia i capitoli
13 e 14 del libro dei Numeri. Dopo l'avventura e l'incontro con Dio sul Sinai, gli
avvenimenti qui riportati indicano una svolta nel cammino verso la terra che
Dio offre al suo popolo. Il popolo sa che la terra dovrà essere conquistata e
che nessuno la regalerà loro. Via via che si avvicina alla terra, loro
assegnata, sorgono le preoccupazioni per il nuovo insediamento. Il Signore
vuole preparare coloro che accompagna e incoraggia i primi approcci di
conoscenza del terreno, del territorio, degli abitanti, delle culture. E’ un
problema di consapevolezza che non può e non deve mancare ad ogni persona,
perché è la base indispensabile per la responsabilità. Il capitolo 14 prepara i
lettori a scoprire la motivazione di un infinito peregrinare nel deserto e
ricorda l'insuccesso del progetto di Dio attraverso uno schema frequente che si
ripete nella Scrittura.
Sorge la paura e quindi
l'insubordinazione da parte del popolo. Si scatena la diffidenza per la
possibilità di un cammino di speranza con il Signore, e si manifesta, di
conseguenza, la delusione di Dio espressa attraverso l'ira.
Ma Dio è fedele al suo popolo e
quindi, nel cuore di Mosé, si fa strada il coraggio per l'intercessione. Dopo
la sommossa, un gruppo di coraggiosi si muove per conquistare, ugualmente, la
montagna, trasgredendo però la raccomandazione di Mosé che li supplica di non
combattere: "Perché trasgredite l'ordine di Jahweh?". Ma essi attaccano
e sono travolti.
Il comando dell'esplorazione
della terra incomincia dal sud della Palestina con scelte persone che devono
essere capi. Sono i rappresentanti di tutte le tribù. E’ tutto il popolo che si
muove e non devono emergere interessi di parte.
L’esplorazione è fatta seguendo
le indicazioni di Mosé e, a conferma di quello che avrebbero detto, (e cioè
hanno scoperto abbondanza, ricchezza, potenza e forza tra gli abitanti del
paese) portano un grappolo d'uva così pesante da dover impegnare la forza di
due uomini. La verifica che essi hanno fatto, dopo la fatica del deserto, dà
ragione alla munificenza e all'amore di Dio per il suo popolo, poiché il
Signore ha conservato questa grande ricchezza per gli schiavi che egli ha
liberato. Gli esploratori impiegano 40 giorni e al ritorno riempiono di stupore
e di paura il popolo che aspetta.
Un popolo, che non conquista la
propria libertà con la propria fatica, anche senza le catene, continua ad
essere schiavo e non c'è fiducia, né coraggio, né parola di garanzia che
sappiano sostenerlo, poiché uno schiavo è sempre impaurito.
L'immagine del benessere è
espresso con lo scorrere di latte e miele come di un torrente: un'immagine
improbabile nel deserto, segno di abbondanza, di gratuità e di benessere.
EPISTOLA
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 9, 7-14
Fratelli, ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: / «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, / la sua giustizia dura in eterno». Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro. Perché l’adempimento di questo servizio sacro non provvede solo alle necessità dei santi, ma deve anche suscitare molti ringraziamenti a Dio. A causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. Pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi.
La seconda lettera ai Corinzi
pare sia stata scritta nell'autunno del 57 a.C. e mantiene, come tema di fondo, la
difesa di Paolo e del suo apostolato. In tutto il testo si sente l'angoscia di
non essere capito, e quindi nella prima parte (capitoli 1-7) ricorda le
tribolazioni patite, difende il suo atteggiamento di apostolo nei confronti
della comunità e riflette sul suo ministero. Nella seconda sezione, Paolo
cambia registro (e il brano di oggi ne fa parte) e richiama istruzioni
riguardanti una colletta a favore della chiesa di Gerusalemme. Egli esorta alla
generosità e alla gioia di donare. Nella terza parte (capitolo 10-13) Paolo
ritorna, in modo brusco, alle ragioni del suo comportamento e si difende dalle
accuse mosse dagli avversari.
Paolo, nel soggiorno a
Gerusalemme per il Concilio (51 d.C.), si rende conto delle difficoltà che
quella Chiesa sta vivendo per il moltiplicarsi dei poveri, a cui si dedica con
coraggio, e per l'esaurimento delle risorse. Così la chiesa di Gerusalemme non
può permettersi di continuare un sostegno generoso e adeguato.
Perciò, in questa lettera, al
capitolo 8, Paolo presenta l'esempio delle chiese della Macedonia che offrono
una prova di amore, avvertendo l'esigenza di una vera uguaglianza. Nel capitolo
9 si sviluppano riflessioni e motivi di tipo sapienziale e teologico.
- Ciascuno dia con generosità e
libertà "quanto ha deciso nel suo cuore", ma dia con gioia, poiché
"Dio ama chi dona con gioia" (il testo è tratto da Pr 22,8).
- L'esempio migliore ci viene dal
modo di operare di Dio che fa abbondare la grazia affinché coloro che credono
in Gesù possano vivere serenamente e offrire con generosità.
- Dire ai fratelli che avete
"sempre il necessario in tutto" suppone che Paolo sa conoscere e
apprezzare l'esistenza di un lavoro onesto e concreto. I componenti di questa
comunità, infatti, sviluppano con corresponsabilità le loro risorse, e Paolo sa
che, con l'aiuto di Dio, si possono permettere sia la sobrietà ("il
necessario") che "le opere di bene". Si parla qui di
"autarchia" (parola greca), che esprime l'autosufficienza e
l'indipendenza da tutti. Ma Paolo introduce anche il richiamo alla ricchezza
come dono di Dio (Deuteronomio 8,17-18). Tuttavia il fine della ricchezza è la
condivisione. ("Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se
stesso, perché se noi viviamo viviamo per il Signore”: Rom 14,7).
- Dio "farà crescere i
frutti della vostra giustizia".
- Dal dono,
frutto del proprio lavoro e della benedizione di Dio, si passa al
ringraziamento del povero il quale prega e dà lode a Dio. I poveri
"ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza al Vangelo e la vostra
generosità di comunione con loro e con tutti". Si può intravedere un
riferimento a Matteo5,16: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei
cieli.
- Questo testo andrebbe accostato
al brano di Luca (16,9), che rimette sempre in discussione il senso della
ricchezza: "Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché quando
questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne". In altri
termini, il paradiso ci sarà aperto dai poveri che ci accoglieranno
ringraziando, avendo intercesso per noi.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 15, 32-38
In quel tempo. Il Signore Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Gesù chiamò a sé i
suoi discepoli e disse: ‘Sento compassione per la folla’.
Gesù sente il bisogno
di comunicare ai suoi discepoli questo suo sentire compassione nel profondo,
questa sua partecipazione viscerale con la sofferenza della folla.
Prima di tutto vuole
che i suoi discepoli -non chiunque, ma chi lo ha seguito ed è con lui-
condividano con lui questa compassione, questo ‘sconvolgimento’ di fronte a chi
ha fame, prevenendo il suo bisogno e la sua richiesta. Si preoccupa che non
vengano meno lungo il cammino.
Solo con questa
assoluta condivisione di ciò che si è e di ciò che si ha si può spezzare il
pane con tutti.
Ma Gesù vuole che
questo gesto parta dalla condivisione della sua ‘com-passione’.
Il pane è qualcosa di
necessario ed è l’elemento indispensabile per rimanere in vita, per alimentarsi,
per crescere: E’ un diritto per tutti. E
i discepoli, come Gesù devono preoccuparsi di chi non l’ha.
Tant’è vero che “dar da mangiare agli affamati” è la
prima delle cosiddette opere di misericordia, riproposte anche da papa
Francesco.
E nel ‘Padre nostro’
chiediamo che venga dato a tutti gli umani il pane quotidiano; parafrasando, secondo una proposta di
amplificazione del Padre nostro, si potrebbe dire: “Dilata il nostro cuore per
imparare a dividere il nostro pane con i fratelli in modo che tutti ne abbiano
a sufficienza, ogni giorno, anche se questo vorrà dire rinunciare a qualche
pezzetto di pane superfluo per noi”.
“E tutti mangiarono a sazietà”. Questo
‘pane’ condito con la misericordia appaga, perché la misericordia non si ferma
solo al gesto di distribuire il pane, ma si preoccupa di lottare perché tutti
possano averlo, di cambiare mentalità perché non ci siano divisioni tra i
popoli eccessivamente sazi e quelli
languenti, tra le persone trincerate nelle loro sazietà superflue e i
bambini che muoiono di fame perché mancano degli elementi essenziali per
sopravvivere.
E’ un passo fondamentale (non a caso nei vangeli è
raccontato sei volte), che va letto non come un prodigio miracoloso, ma come un
forte richiamo alla nostra responsabilità sul mondo e sul modo con cui gestiamo
la nostra vita, di fronte alle parole di Gesù: ”avevo fame… avevo sete… ero
nudo… ero straniero… ero malato… ero carcerato…”. In cui si immedesima, anzi si
identifica con questi bisogni primari dell’uomo perché possa rivestirsi di
dignità.
La dignità di essere
umani, e, in quanto tali, di riconoscersi figli di Dio, dello stesso Dio che ha
viscere di misericordia per tutti e per ciascuno.