Natale del Signore



Lettura del profeta Isaia 8, 23b-9, 6a
In passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse. / Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia. / Gioiscono davanti a te / come si gioisce quando si miete / e come si esulta quando si divide la preda. / Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, / la sbarra sulle sue spalle, / e il bastone del suo aguzzino, / come nel giorno di Madian. / Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando / e ogni mantello intriso di sangue / saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il potere / e il suo nome sarà: / Consigliere mirabile, Dio potente, / Padre per sempre, Principe della pace. / Grande sarà il suo potere / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul suo regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. 
 La via del mare, famosissima, percorsa da carovane, eserciti e commercianti, collegava l’Egitto, a sud, con la Mesopotamia a nord, passando  attraverso il territorio  di Zàbulon e di Nèftali, a settentrione d’Israele. E questa strada era la vena del sangue infetto,  che sconvolgeva le regioni che attraversava, travolte da sconvolgimenti politici e militari, invasioni e distruzioni. Era la terra dove ancora si mescolavano popolazioni ebraiche e popolazioni dalla religione deforme, tra la legge dei profeti e le idolatrie pagane, mantenute dallo stanziamento, nel secolo VIII, delle popolazioni pagane assire. Era la terra  del disfacimento e delle tenebre, sconvolta, senza speranza. Il profeta annunciò, inaspettato, un presagio nuovo ed un sogno inimmaginabile. Un nuovo re, discendente da Davide, sarebbe nato ed avrebbe portato la luce nuova.
Il profeta stava puntando gli occhi sul re del regno di Giuda: Ezechia che regnava, libero ancora da invasioni, a cui sarebbe nato tra poco un figlio: Giosia. Il profeta glielo aveva promesso come dono di Dio. Egli avrebbe liberato tutto il popolo, da nord a sud come al tempo di Davide.
Due sono le tragedie che vengono denunciate: il lavoro rubato e la schiavitù.
Non ci saranno più eserciti che ti rapineranno del raccolto o te lo bruceranno. Ritorneranno i campi a fiorire e a far frutti : nella pace si coltiverà, si seminerà e si raccoglierà.  Saranno tempi in cui seminerai sereno e raccoglierai senza timore. E per raccontare la gioia che sarebbe esplosa, il profeta ricordò l’entusiasmo del mietere, quando si toccava con mano l’abbondanza.
Insieme cadrà anche la schiavitù.  Vengono ricordate tre parole: “il giogo, la sbarra ed il bastone”. Verrà un tempo in cui il popolo diventerà libero: spezzerà il giogo, frantumerà la sbarra di legno o di ferro che portavano sulle spalle gli schiavi e i deportati, per incatenare gli uni agli altri; e non ci sarà più il bastone che spaccava le ossa dei sottoposti. Il bastone dell’aguzzino sarà abbandonato come al tempo di Madian quando Gedeone vinse i Madianiti (Gdc 7, 16-25).
E ci saranno i fuochi che bruceranno calzature e mantelli insanguinati. Il fuoco purificatore frenerà gli eserciti, non si sentirà più il rumore assordante delle calzature chiodate: non si muoverà più un esercito contro il popolo di Dio poiché non si è mai visto un esercito vincitore scalzo. E non si aggireranno i violenti con mantelli insanguinati, segno della prepotenza, della dissacrazione della vita, della lontananza da Dio.
E’ nato un bambino: Il mondo nuovo incomincia con i bambini che portano nuova sapienza. Avrà sulle spalle il segno della sovranità (il contrario del giogo) e avrà quattro titoli: “Consigliere ammirabile” (come Salomone), “Dio potente” (come Davide strumento delle vittorie di Dio), “ Padre per sempre” (per la ricerca del benessere del popolo), “Principe della pace” ( garante di ogni libertà da ogni potenza straniera). Purtroppo, però, con la nascita del figlio di Ezechia: Giosia,  non accadde nulla. Gli assiri hanno continuato a dominare al nord ed Ezechia non si mosse da Gerusalemme.
Dio interviene quando vuole, non si mescola con le guerre e le dominazioni. Così gli imperi e gli eserciti si moltiplicano ma il sogno di Dio è la fine delle marce militari e la distruzione dei vestiti della guerra.
Eppure la profezia non si perse. venne catalogata tra le speranze  del nuovo Messia e avvererà dopo circa 750 anni, con la nascita di Gesù. Il compito di una lavoro sereno e fruttuoso, come dono per tutti, e il coraggio della pace e della giustizia furono  portati da Gesù e affidati nei secoli al suo  popolo cristiano perché il mondo si aprisse alla convivenza tra le genti.

Epistola
Lettera agli Ebrei 1, 1-8a
Fratelli, Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: / «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»?
E ancora: «Io sarò per lui padre / ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, / e i suoi ministri come fiamma di fuoco», / al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».  

Si chiama “lettera agli Ebrei” ma non è una lettera, come quelle di Paolo. E’ piuttosto una lunga riflessione-omelia inviata al popolo di Dio che si è convertito a Cristo e che deve approfondire il significato della Parola di Dio ereditata dai padri e dai profeti. Essa si pone in confronto con Gesù, il Figlio. In questo documento Gesù è detto sommo sacerdote e colui che sintetizza, nella sua vita e nella sua vocazione, tutto il messaggio del Padre.
Dio ha parlato in molti modi, e la coscienza credente, immediatamente, fa riferimento alla creazione, la cui bellezza e bontà esprimono la grandezza e la bellezza del Signore. Chi non sa leggere questo splendore è chiamato “stolto” perché si è fermato alla superficie delle cose e degli avvenimenti della natura, scambiandoli per divinità, è infelice poiché non va  alla ricerca del senso completo della realtà (Sapienza 13,1-3).
Ma poi il popolo ha avuto la rivelazione attraverso i profeti (v 1) e il Signore ha espresso con grande attenzione ed abbondanza la sua parola perché il popolo, per la sapienza dei padri, si rendesse conto della delicatezza e della premura di Dio.
Ultimamente  Dio ha mandato il suo Figlio, già misteriosamente presente,  se” mediante il quale ha fatto anche il mondo” (v 2). Mentre lo svela nella sua umanità, l’autore non  si preoccupa  di sviluppare oltre la sua riflessione sul Figlio dicendolo uomo (per le prime comunità era un fatto scontato), ma è attento a richiamare l’identità della stessa natura sia del Figlio che del Padre, e tuttavia chiarisce la distinzione del Figlio dal Padre. Perciò nella  testimonianza e nella parola di Gesù, il Figlio, c’è la garanzia della pienezza della conoscenza di noi suo popolo e il nostro cammino verso il Padre. Siamo in compagnia del Figlio che, prima ci purifica dal male (e viene adombrato il sacrificio del nuovo  eterno sacerdote) (v 3), ma insieme, per la sua grandezza di Figlio che giudica il male ed il mondo, addirittura superiore agli angeli, ci eleva, come suo popolo, ad altezze vertiginose.
Abbiamo letto una presentazione teologica del Natale, mentre il vangelo di Luca ci racconta e insieme ci anticipa in sintesi la vicenda avventurosa del Figlio di Dio tra noi. Disarmato, piccolo tra i piccoli e povero tra i poveri, lo incontreranno coloro che non riscuotono onore e rispetto e sono i lavoratori della notte, pastori disprezzati e lontani dal tempio. Ci saranno anche gli angeli ma il loro compito sarà quello di aiutare a rileggere e a svelare il mistero di chi non riesce neppure a trovare un alloggio decente per nascere, ma sarà adagiato nella mangiatoia di una stalla (Lc2,7).  Gli angeli cantano “Gloria a Dio e pace agli uomini che egli ama” e si svela la scelta universale che Dio fa di tutti noi, siamo buoni o peccatori. E’ il messaggio della speranza  per tutti: capovolge le lacerazioni ma è anche l’inizio di una conversione del cuore.

Vangelo
Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 1-14

In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».   
 
Questo per voi è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce  adagiato in una mangiatoia”.
Il segno che viene proposto non sembra nemmeno un segno: che un bambino nasca è cosa naturale; che in un ambiente di pastori sia deposto in una mangiatoia è cosa comune, abituale.   In che cosa allora consiste il segno?
Anzitutto vien da pensare alla piccolezza, alla ordinarietà dell’esistenza: il Signore, colui che viene a salvarci, a portarci il nuovo volto della misericordia di Dio, sceglie di nascere tra i piccoli, quelli che non contano, anzi sono i disprezzati, i pastori, perché impuri così a contatto con le pecore. Sceglie di nascere come tutti bambini –e allora i bambini non avevano nessun diritto, nessuna voce.
Ma una nascita, anche tra i piccoli ha sempre qualcosa di straordinario, suscita sempre stupore e gioia per il miracolo della vita che accade anche nella notte, anche nella povertà, anche nell’emergenza.
Gesù nasce da genitori scacciati, indesiderati, addirittura intrusi; e questo ci richiama tante situazioni del giorno d’oggi, tante persone a cui voltiamo le spalle o che ci danno fastidio.
Però nasce e c’è il gesto delicatissimo, sottolineato dall’evangelista,  dell’essere avvolto in fasce, che, al di là delle diverse interpretazioni, dice cura, dice tenerezza, dice amore.
E la mangiatoia (il ‘presepe’) fa pensare anche ad un significato simbolico:  Gesù che si definirà “pane di vita”, che si farà pane per tutti, come a dire che bisogna alimentarsi di lui per germogliare e crescere nell’amore, fin da piccolino, da neonato, propone questo suo coinvolgersi con l’umanità, questo suo essere in comunione totale con tutte le fibre del nostro essere.
 E’ significativa anche la presenza dei pastori: sono pronti a riconoscere l’angelo di luce perché ‘vegliavano’ tutta la notte per curare e custodire il gregge.  Sono cioè svegli in un atteggiamento di vigilanza, pronti ad accogliere. E’ bello questo loro improvviso essere avvolti dalla luce.

Che il Natale ci faccia ricredere sulla speranza di una luce che ci può avvolgere nella misura  in cui siamo accoglienti e disponibili a non ritenere definitive le notti del mondo, ma a riconoscere i “segni” della piccolezza e delle nascite in incognito come chiamata ad aprirci sempre alla vita di tutti.