Seconda domenica di Avvento (commenti alle letture)

1^ lettura


Isaia. 51, 7-12a
Così dice il Signore Dio:7Ascoltatemi, esperti della giustizia, popolo che porti nel cuore la mia legge. Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni; 8poiché le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. 9Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, o braccio del Signore. Svégliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai trafitto il drago? 10Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti? 11Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. 12Io, io sono il vostro consolatore.

Con il capitolo 51 inizia il grande poema della restaurazione di Sion, annunciata ancora durante il periodo dell’esilio in Babilonia dal “DeuteroIsaia (secondo Isaia)”. Sono i testi della speranza e della consolazione, ma iniziano con i richiami alla responsabilità e alla operosità: “Ascoltatemi, cercate il Signore, guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, guardate ad Abramo e Sara…” (51,1-3). Il testo vuole dare delle garanzie che si appoggiano sulla forza della promessa del Signore, oltre che sulla libertà, l’accoglienza e la fiducia del popolo deportato che deve aprirsi alla speranza. Il popolo sta sperimentando, comunque, la vittoria del Signore perché, nella sua consapevolezza,  si nutre di gloria del suo passato e della legge del Signore che è nel suo cuore. Quindi vive la prospettiva dell’Alleanza. Non deve, perciò, scoraggiarsi delle difficoltà che incontra, non deve temere il disonore e gli oltraggi negli uomini vincitori. Essi saranno trattati come i vestiti attaccati dalle tarme, mentre la giustizia di Dio rimane in eterno.
Vengono quindi ricordate la creazione di Dio e la vittoria sui grandi mostri marini. Il ricordo dei mostri è parte integrante dei racconti dei popoli vicini sull’inizio del mondo. Sono chiamati Raab, o il drago (Leviatano) o l’abisso (Tehom). Sullo sfondo la rilettura del passato fa intravvedere l’azione di Dio sul mare che si apre, sui salvati che camminano su un sentiero tracciato nel mare, sulla certezza che gli ostacoli non distruggono il popolo che si fida di Dio, ma piuttosto resta unito e intatto. La preghiera si rivolge alla forza di Dio (il suo “braccio”) e invoca tre volte: “Svegliati”, rivolto a Dio, per incominciare ad operare, oggi, ciò che il Signore ha compiuto in passato per liberare questo popolo. Ed è sicuro che questo popolo tornerà con esultanza, giubilo e felicità. Il testo conclude con una risposta che Dio stesso dà all’invocazione di Israele: “Io, e lo ripete, io sarò il tuo consolatore”.
Il testo incoraggia ad avere fiducia nei momenti di difficoltà. Il Signore, attraverso il profeta, garantisce la sua attenzione perché sa mantenere le promesse e tuttavia è necessario che il popolo mantenga nel cuore la legge (v 12). Nella liberazione si accompagna sempre il coraggio della giustizia. Non è però automatica, ma è dono di Dio cui ci si unisce con la responsabilità. Ed è anche il problema del nostro tempo e della nostra crisi. Mantenere la giustizia non ci deve solo far pensare al nome di chi è già garantito e di chi sta bene, ma, di volta in volta, fa sperare di riprogrammare una nuova convivenza in cui tutti possano godere del necessario. Il profeta ci incoraggia perché possiamo chiedere al Signore di essere "rivestiti di forza", di entusiasmo, come nei tempi passati, di liberazione e di grazia come e quanto abbiamo sperimentato nei momenti migliori della nostra storia.
La preghiera ci apre le porte di Dio, che sa ascoltare, ma sollecita anche il nostro cuore perché accettiamo che si compiano in noi e nel nostro popolo i progetti di Dio e non solo i nostri. La preghiera ci obbliga a fare pulizia delle nostre paure e  delle nostre attese per metterci in sintonia con la Parola di Dio e con le scelte concrete che Gesù ha proposto ed ha compiuto.

2^ lettura
Romani. 15, 15-21.Fratelli,15su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio 16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. 18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21ma, come sta scritto: Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.

Paolo, ormai al termine della sua lettera alla comunità di Roma, vuole chiarire l’audacia che gli ha permesso di scrivere ad una comunità che egli non ha fondato e in cui è sicuro che esistano valori, coerenze e chiarezze di fede, ricevuti da altri apostoli. Perciò la sua lettera potrebbe, addirittura, essere superflua e tuttavia ritiene di avere giustamente operato perché egli si sente ministro di Dio presso i pagani e quindi collaboratore con i romani nella loro società enorme e fastosa in cui essi vivono.  Egli sente di compiere, attraverso la predicazione del Vangelo, un’ offerta sacrificale, un gesto di culto con i pagani che accolgono, nella fede, la parola di Gesù  e sa di costruire un popolo nuovo che muore al peccato (con il battesimo) e vive nella forza di Gesù risorto.
L’apostolo si gloria del suo lavoro, ma lo fa senza orgoglio e senza vanità perché tutto avviene per Gesù che è presente in quest’opera, che Paolo ha accettato di sviluppare, essendo messaggero. Egli ha la fiducia di operare solo ciò che vale per Cristo, facendo  esperienza di una abbondante fecondità, assicurata della grazia di Gesù, avendo percorso e fondato varie comunità, da Gerusalemme alla Illiria (una regione sull’alta  Grecia e l’Albania, oltre la Macedonia e prospiciente l’Italia attraverso l’Adriatico). Negli Atti degli apostoli non  c’è traccia di una evangelizzazione nella Illiria ma, idealmente, Paolo può dire che il suo itinerario, venendo dall’oriente e proiettato in occidente, si collega con l’evangelizzazione che si sta sviluppando in Italia. Questo corrisponde alla vocazione di una predicazione in tutto il mondo. Paolo vuole, comunque, oltrepassare  Roma per avventurarsi verso la Spagna. L’apostolo assicura che il suo lavoro di evangelizzatore vuole svilupparsi su terreni vergini e non vuol fare l’esperienza che egli stesso ha fatto, e cioè l’avventura di missionari senza scrupoli che sono passati nelle comunità da Paolo, precedentemente fondate, per criticarne l’operato e quindi sconvolgere un equilibrio ed un cammino sempre difficile per una comunità, soprattutto se iniziale.
Il brano ci ricorda il grande desiderio di Gesù di raggiungere ogni popolo della terra per portare la speranza e la garanzia dell’amore di Dio. E di questo progetto se ne fa carico il popolo di Dio, riconoscendo la dignità di ciascuno mentre sviluppa, insieme, tutta la discrezione possibile per il rispetto di ogni persona, ma anche la generosità e la bontà suggerite ai suoi discepoli da Gesù che corrisponderebbe a: “ognuno ha diritto di essere felice”. Scoprire, far emergere, parlarne: sono segni di operosità che non vanno vissuti come un'esibizione, ma come una rivelazione gioiosa e umile. Nelle nostre relazioni, parlando con coloro che vivono e lavorano con noi, bisogna trovare il modo di far lievitare i contenuti fino a cogliere i valori, i significati che si sono incontrati, le motivazioni, anche se faticose, che si riesce a scovare, i risultati di lavori compiuti insieme e maturati nelle collaborazioni che vanno valorizzate.
Evangelizzare significa, infatti, dire e seguire i valori che il Padre ci offre e ci fa scoprire nella quotidianità di cui Gesù si è fatto testimone e che ogni giorno ci suggerisce.

Vangelo
Matteo. 3, 1-12
31In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:  Voce di uno che grida nel deserto:
 Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!  4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.  5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Nel brano del Vangelo, tratto da Matteo (3,1-12), campeggia la figura di Giovanni Battista, il precursore, colui che prepara la via del Signore, immergendo nelle acque del Giordano chi si riconosce  operatore di malvagità, peccatore.
Perché il problema è di cambiare mentalità, convertirsi dall’ingiustizia alla giustizia, dall’egoismo all’accoglienza , dal proprio tornaconto all’apertura del cuore perché lo Spirito Santo, cioè la vita di Dio, possa mettere radici e operare il cambiamento delle coscienze.
Colpisce il coraggio di Giovanni che ha l’aspetto austero dell’uomo di Dio, investito e consapevole di un compito grande da realizzare con prontezza e senza distrazioni: “Il regno di Dio è vicino”. Senza peli sulla lingua e senza falsi rispetti umani. Anche Marco (1,15) dice: “Il regno di Dio è vicino”, mentre Luca (17,20) garantisce: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”. Per questo non si può rimanere quelli di prima. C’è bisogno di capovolgere i propri criteri, le proprie piccole logiche, per aprirsi a credere con tutto se stesso che  davvero il Signore è qui ed è pronto a cambiare le cose nella misura in cui ci fidiamo di Lui, ci abbandoniamo a lui. 
Ci aggrappiamo a Lui anche nel buio più buio. Certo, farà giustizia con il ventilabro, ma il suo amore di Padre è pronto a fare “ nuove” tutte le cose, a trasformare cuori di pietra in cuori di carne. Sensibili e palpitanti.
Mi piace pensare di vivere questo tempo di avvento come  un “  capovolgimento”, come una ripresa di primavera, proprio in momenti di crisi, di disorientamento, di smarrimento, di cattiveria e di violenze, come quelli in cui ci troviamo a vivere.
Giovanni grida a voce alta la malvagità del mondo.Tutti accorrono, anche persone religiosamente altolocate come farisei e  sadducei. La seduzione del perdono è grande, inaspettata. Gesù, assieme alla fermezza, porterà il sorriso, appunto capovolgendo il modo di vedere gli uomini nel modo di essere di Dio, di che-non dimentichiamolo-ama tutti e ciascuno.