Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani - Solennità del Signore

LETTURA 

Lettura del profeta Isaia 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14aIn quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: / «Abbiamo una città forte; / mura e bastioni egli ha posto a salvezza. / Aprite le porte: / entri una nazione giusta, / che si mantiene fedele. / Confidate nel Signore sempre, / perché il Signore è una roccia eterna. / Il sentiero del giusto è diritto, / il cammino del giusto tu rendi piano. / Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, / Signore, noi speriamo in te; / al tuo nome e al tuo ricordo / si volge tutto il nostro desiderio. / Farò di rubini la tua merlatura, / le tue porte saranno di berilli, / tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. / Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, / grande sarà la prosperità dei tuoi figli; / sarai fondata sulla giustizia».

[oppure]
Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 21, 9a. c-27Nel giorno del Signore, venne uno dei sette angeli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. In essa non vidi alcun tempio: / il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello / sono il suo tempio. / La città non ha bisogno della luce del sole, / né della luce della luna: / la gloria di Dio la illumina / e la sua lampada è l’Agnello. / Le nazioni cammineranno alla sua luce, / e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. / Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, / perché non vi sarà più notte. / E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. / Non entrerà in essa nulla d’impuro, / né chi commette orrori o falsità, / ma solo quelli che sono scritti / nel libro della vita dell’Agnello.


Isaia 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a
La nostalgia di poter cantare per Gerusalemme liberata e splendente è sempre stato il sogno di ogni ebreo e il testo suggerisce il canto dei liberati dalla schiavitù. La speranza infatti si sta profilando  per quelli che ancora sono deportati in Babilonia. Il testo fa riferimento al sec. VI a.C. e quindi non è del primo Isaia che vive nel secolo VIII, al tempo della potenza Assira che conquista il regno di Samaria, ma è del secondo Isaia. L’elemento di garanzia della propria salvezza è rappresentata dalla “città forte” con “mura e bastioni” potenti, che difendono la potenza e la libertà del popolo di Dio.
Il riferimento alle mura è indispensabile per la sicurezza della città, poiché assicura la pace e tiene lontane le bande dei briganti e le scorrerie dei nemici.
Il ritorno da Babilonia pone subito il problema del ricostruire le mura e il tempio: due realtà fondamentali per la pace e la sicurezza. E nonostante la povertà e la debolezza di un popolo che torna povero e senza risorse, avvengono episodi di generosità e di costanza inimmaginabile per cui coloro che sono tornati riescono, in poco tempo, a circondarsi di mura.
Non a caso, poi, le stesse mura, nel breve testo successivo, tratto dal capitolo 54,12-14, rappresentano la saldezza, la stabilità e la profusione di bellezza che riempiono di orgoglio il popolo costruttore. Così, impreziosite di pietre preziose, perdono la loro fisionomia di materia opaca, e si trasfigurano nella bellezza di Gerusalemme e quindi nello splendore della Sposa di Dio, santa, madre, accolta nell’Alleanza, glorificata poiché preziosa nelle mani dell’Altissimo.
Proprio questa garanzia di protezione rimanda alla convinzione profonda di essere nella fiducia in Dio che è saldo: “Dio è la roccia eterna" ed esprime la preziosità del proprio lavoro, segno di sicurezza e di alleanza con Dio. Ma tutto questo si compie solo se "i figli sono discepoli del Signore". Allora Gerusalemme sarà fondata sulla giustizia e lontana dall'oppressione.

EPISTOLA 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 9-17Fratelli, siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

1Cor 3, 9-17
Paolo ha sperimentato, nella sua predicazione e nella sua missione, la fragilità di speranze legate al sogno di piegare alla fede la sapienza greca con il suo intervento all’areopago di Atene; nella sconfitta capisce anche di dover ripensare ai valori di proposta e al fondamento della sua stessa predicazione. Vera sapienza non sono le parole che conquistano consenso, ma il mistero di Cristo che esprime il progetto di Dio per noi.
Paolo ha sperimentato le divisioni nella piccola comunità e le selezioni avvenute tra credenti, dietro vari personaggi che avevano operato nella Comunità, manifestando caratteri e qualità particolari. Essi, dice Paolo, hanno lavorato nella comunità cristiana ma non sono padroni: sono solo servi: “Apollo, Paolo, Cefa (Pietro)”. Se pure hanno collaborato con il Signore, solo il Signore fa veramente crescere. Gli altri, i ministri, piantano, irrigano (v.7). Paolo, con molta chiarezza, si sottrae a forme di prevaricazione o di partigianeria e insiste: “Siamo solo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio”(v.9).
Paolo si preoccupa di richiamare i collaboratori e i predicatori nella Comunità a non cadere in due possibili errori. Edificare la comunità su fondamenti diversi da quello che è Gesù (v 11) e costruire con materiale scadente. “Legno, fieno e paglia” sono materiali che si impiegano per le case dei poveri e facilmente si deteriorano e si consumano, a differenza delle costruzioni solide dei ricchi, dove si utilizza materiale pregevole (“oro, argento, pietre preziose”). La Chiesa è fatta da operatori visibili: il missionario che serve e i credenti che ascoltano e accolgono. Ma la coscienza della Chiesa è chiaramente convinta che è Dio che fa crescere, che rende fecondo il mondo e le persone ed è Lui che porta frutto e novità.
Gli esempi sono tratti dai lavori usuali dell’agricoltura e dell’edilizia.
Paolo dice che i momenti di crisi e di giudizio e i tempi oscuri della storia trasformano col fuoco tutta la realtà. Essa viene saggiata e quindi brucia e si consuma, manifestando quello che mantiene una propria consistenza. Il linguaggio è il linguaggio apocalittico dei profeti ed esprime i tempi  del cambiamento e della verifica come i tempi della tragedia e del fuoco dove resiste solo ciò che ha consistenza.
Coloro che hanno operato si salveranno, ma vedranno la propria opera dissolversi come mediante il fuoco, se non avranno avuto fondamento solido e materiale valido.
Paolo (v 16), dopo aver accennato alla responsabilità dei ministri, passa a parlare della responsabilità dei cristiani nella loro comunità
I cristiani sono tempio di Dio e dello Spirito Santo (6,19). La parabola sulla costruzione dell’edificio, utilizzata con i predicatori, continua nell’immagine di una costruzione che, per forza di cose, riporta all’immagine del Tempio, la casa di Dio in Gerusalemme.
Come Dio è stato geloso della santità del suo tempio, così ora lo è del nuovo tempio, edificato su Gesù. Siamo riportati al valore di una presenza, non più nascosta nella cella del “Santo dei santi” del tempio, ma abitante nella carne e nella vita dei credenti.
Si può sbagliare e, tuttavia, Dio salva pur passando attraverso il fuoco. Non si può però pretendere di distruggere il tempio di Dio poiché “Dio distruggerà lui”(v 17).

VANGELO 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 22-30

In quel tempo. Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Giovanni 10, 22-30
Era inverno”. Certo, la precisazione dell’evangelista Giovanni non vuole essere meteorologica, bensì teologica. Ed è applicata al Tempio, nel giorno della sua dedicazione.
L’inverno richiama sempre qualcosa di freddo, di buio, di cielo basso; qualcosa che finisce.
Come a dire: anche il Tempio, quella costruzione grandiosa e preziosa che per gli Ebrei rappresenta il segno della Presenza di Dio tra il suo popolo sta per finire, non solo per la prossima distruzione di Gerusalemme, ma perché il segno di Dio tra gli uomini, la Sua rivelazione, il Suo volto è Gesù, che afferma “Io e il Padre siamo una cosa sola”.

E’ la risposta che dà Gesù a quei Giudei che gli fanno una domanda capziosa: “Fino a quando ci terrai nell’incertezza?”
Ma è difficile accettare che il volto di un “uomo” sia il volto di Dio: è più facile aderire a qualcosa di teorico, che ascoltare una voce di chiamata, essere conosciuti e ricambiare la relazione, seguire.
Perché questo implica continuamente (non una volta per tutte) uno spodestamento da sé, dalle proprie idee, dalle proprie convinzioni, che comunque hanno sempre bisogno di risposte precise e ripetute e non si accontentano del mistero di una persona che ti vuole al suo seguito perché ti ha a cuore.
Si tratta di uscire da se stessi, di lasciar risuonare la voce di un “vivente” che ti precede e accompagna, che si prende cura di te.

Tutto questo è bello; ma è inverno, non solo nella notte e nelle oscurità minacciose del mondo, ma anche dentro di noi; e spesso i nostri pensieri sono raggrinziti e annebbiati e preferiamo lasciare che le nostre opacità si sfilaccino in domande generiche e ovvie, piuttosto che rischiare sulla voce, sulla parola del pastore/Gesù che ci assicura della sua presenza.

Per essere “chiesa”, la viva chiesa di Gesù il richiamo è forte: credere che in Lui, anzi in ogni volto d’uomo –come Paolo ha ben capito- risplende la scintilla della presenza di Dio, anche se non ce ne accorgiamo.
Convertirci a Gesù è anche convertirci all’umanità dell’uomo, creatura di Dio, anzi “figlio”; e in questo riconoscimento sta il nostro rispetto e la possibilità di andare al di là delle pietre, pur preziose che siano, anche se costruiscono templi e chiese come segni di fede nel nostro cammino.