La Settimana autentica

Riflessioni sulle letture del Giovedì Santo (2 aprile)



Gn 1,1-3,5.10 - 1Cor 11,20-34 - Mt 26,17-75 
(riflessione sulle letture di mons. Cesare Pasini)

«A quale popolo appartieni?»,
è la domanda a Giona da parte dei marinai.
Giona rispondere di essere ebreo e di venerare «il Signore,
Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra».
Allora «quegli uomini furono presi da grande timore»,
perché «erano venuti a sapere
che egli fuggiva lontano dal Signore».

Giona apparteneva al popolo di Israele,
perché apparteneva al Signore;
ma fuggiva lontano dal Signore e dal popolo.
Si allontanava dal suo popolo, Israele,
e si allontanava dal popolo pagano di Ninive,
al quale però era stato mandato.
Dio ha a cuore Giona, Israele, Ninive;
Giona invece non ha a cuore Ninive e lascia Israele e Dio.

In una bella espressione del libro di Isaia (43,1),
Dio dice al suo popolo: «Tu mi appartieni»;
il greco dei Settanta dice: «Tu sei mio».
Era l’eco di quanto era stato espresso già in Esodo (19,5-6):
«Se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza,
voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli;
mia infatti è tutta la terra!
Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa».
Lo dice anche il Salmo (134/135,4):
«Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele come sua proprietà».
Lo promette di nuovo Malachia (3,17):
«Essi diverranno la mia proprietà particolare
nel giorno che io preparo.
Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve».
Quindi “Tu sei mia proprietà” significa che Dio è padre.
E infatti nel battesimo al Giordano e nella trasfigurazione
il Padre ci assicura che proprio Gesù è il Figlio,
come stava scritto nel Salmo (2,7; ripreso in Ebrei 1,5; 5,5):
«Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”».
Quindi: “Tu mi appartieni, tu sei mio, tu mi sei figlio:
tu, Gesù, tu Israele, tu Ninive”.

Gesù è il figlio: «Il sommo sacerdote gli disse:
“Ti scongiuro, per il Dio vivente,
di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”.
“Tu l’hai detto ‒ gli rispose Gesù ‒”».
Ma come si fa a riconoscere il figlio che appartiene a Dio?
Nella sua vita, nelle sue scelte, e poi nel culmine della vita.
Il segno iniziale di questa appartenenza
è alla presentazione al tempio:
Gesù, il primogenito, è offerto da Maria e da Giuseppe, perché
«Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (Lc 2,23):
a Dio si offre il meglio, la primizia,
e Gesù è pienamente consacrato a Dio;
appunto: appartiene a lui, è donato a lui, riservato a lui.
Non ci stupiamo che Gesù poi, in piena coerenza, dichiari:
«Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato
e compiere la sua opera» (Gv 4,34): gli appartiene!
È allenato da una vita e al Getsemani conferma l’appartenenza:
«Non come voglio io, ma come vuoi tu!».
Anche il suo essere consegnato, che è poi un consegnarsi,
dice un’appartenenza già scelta, accolta, voluta, offerta.
L’esperienza di figlio consiste
in un’appartenenza a Dio che va sino alla croce.

Ma bisogna completare:
l’esperienza di figlio consiste in un’appartenenza a Dio
che va sino al popolo, a Israele, a Ninive.
Giona fugge, Gesù appartiene e dona appartenenza.
«Questo è il mio sangue dell’alleanza,
che è versato per molti per il perdono dei peccati»;
«il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori».
Via crucis, I stazione: «Egli si consegna nelle mani degli uomini
e il sangue innocente del solo Giusto
cadrà, rugiada di salvezza, su tutti i peccatori».
Appartiene a Dio per appartenere al suo popolo,
all’intera umanità chiamata a salvezza.

Nella sua vita e nella sua passione
Gesù ci insegna e ci dona l’appartenenza a Dio.
Appartenenza non è schiavitù perché è nella libertà di figli:
«Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore,
Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa.
E la sua casa siamo noi,
se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo» (Eb 3,5-6).
Appartenenza è “essere suo”, “essere suoi”, “essere figli”,
nella pace, nella protezione, nella sicurezza della via, nella fiducia,
nella fermezza della direzione: “per te, Padre, e per i tuoi”.

Riflessioni sulle letture della Commemorazione della Passione del Signore (3 aprile)



Is 49,24-50,10 - Is 52,13-53,12 - Mt 27,1-56
(riflessione sulle letture di mons. Cesare Pasini)

Al sacrificio, solitaria vittima, tu vai, Signore, per tutti.
Non c’è Pietro con te che pur diceva: “Per te voglio morire”.
Ti abbandonò Tommaso che gridava: “Andiamo tutti a morire con lui”.

Nessuno c’è dei tuoi: tu muori solo, Figlio e Dio mio,
che immacolata mi preservasti.
Venite e vedete l’Uomo-Dio a una croce confitto.
Nessuno c’è dei tuoi: tu muori solo, Figlio e Dio mio,
che immacolata mi preservasti»
(Venerdì santo, Ufficio delle letture, Responsorio).

La solitudine di Gesù, abbandonato dai suoi:
è il mistero del vangelo del Regno,
che non è di questo mondo e che questo mondo non capisce.
Ciò che è mondano, dice spesso papa Francesco,
storpia il vangelo, non può accoglierlo,
e il Regno e i figli del Regno sembrano lasciati da parte, soli.
Sant’Ambrogio, meditando questa solitudine, procede oltre:
«Era solo il Signore Gesù quando redense il mondo;
infatti “non un ambasciatore né un messo,
ma lo stesso Signore” da solo “salvò il suo popolo” (Is 63,9),
per quanto non sia mai solo colui nel quale è sempre il Padre»
(Lettera 33, 5).
Le Costituzioni delle Romite riprendono lo stesso pensiero:
«Cristo redense il mondo nella solitudine:
nella solitudine orante del deserto e delle cime dei monti;
nella solitudine del Getsemani,
dove si confrontò con pienezza alla volontà del Padre;
nella solitudine della croce, dove restò solo
tra la colpa dei suoi fratelli e la giustizia di Dio» (8).
La solitudine di Gesù, abbandonato dal mondo e dai suoi,
diventa la solitudine di «colui nel quale è sempre il Padre»
e che nella solitudine redime il mondo:
è il Regno che si compie in Gesù, allo stremo della solitudine,
e che si compie per noi e per tutti,
la solitudine si popola dell’umanità redenta.
La solitudine è il luogo del Regno, è indizio del Regno presente;
la solitudine è il luogo dove il Padre è sempre con il Figlio
(anche quando invoca: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?»);
la solitudine è la nascita al Regno per i molti redenti:
dalla solitudine alla Chiesa, alla moltitudine dei chiamati.

Accanto a Gesù sta Maria, sola con il Figlio.
Già alla presentazione al tempio
Gesù è chiamato segno di contraddizione,
parola che ci contraddice, che svela i pensieri dei nostri cuori.
Maria, dice Simeone, è associata alla contraddizione di Gesù:
«Anche a te una spada trafiggerà l’anima».
Maria è associata a Gesù nell’essere segno di contraddizione,
segno di un Regno che non è di questo mondo.
Maria lo impara nel suo percorso di fede.
Quando a Cana si sente dire: «»Che c’è fra me e te, o donna?»,
Maria impara che, quando verrà l’ora del Regno
(l’ora della passione di Gesù, l’ora del dono di sé,
del prendere su di sé il peccato degli uomini, dare loro la vita),
succederà qualcosa anche fra lei e il figlio:
Maria dovrà “perdere” questo figlio, per accogliere altri figli.
Se la solitudine di Gesù, la solitudine del Regno,
la solitudine di «colui nel quale è sempre il Padre»,
diventa redenzione di popoli e nazioni,
la solitudine di Maria, il suo arrivare all’ora del Regno,
la apre a diventare madre del nuovo popolo di redenti:
«“Che c’è fra me e te, o donna?”.
Quello che c’è fra me e te, non sarà più fra me e te.
Se devo dare la vita per gli uomini, questi avranno la mia vita;
e avere la mia vita, vuol dire avere una relazione con te;
vuol dire che quello che c’è fra me e te,
sarà fra te e questi uomini».
«Ciò che era fra Maria e Gesù non è più definitivo,
c’è qualcuno che subentrerà a Gesù: il discepolo. Noi.
Noi prendiamo il posto di Gesù»
(Fabio Rosini, Beata colei che ha creduto, p.m., pp. 97-98).

Dalla solitudine del Regno alla moltitudine dei redenti,
dalla madre sola accanto al Figlio solo, abbandonato,
a un popolo che apprende che il Padre è sempre con noi
e che la Madre del Figlio ci è donata come nostra madre.

Alla IV stazione della Via crucis
(Romite Ambrosiane - Leonardo Bellaspiga, ed. Àncora),
trovo la madre dei Maccabei che dice al figlio più giovane,
l’ultimo ancora in vita (2Mac 7,29):
«Non temere questo carnefice, ma accetta la morte,
perché io ti possa riavere
insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia».
E il commento:
«La fede forte di Maria ha sperato contro ogni speranza
e il suo cuore di madre ha riavuto il Figlio
insieme con la moltitudine di noi, suoi fratelli redenti,
nel giorno della misericordia».

Al venerdì santo
contempliamo il mistero della solitudine di Gesù e di Maria,
che diventa redenzione, misericordia, maternità.
Scopriamo che il Padre è sempre con noi,
che Maria proprio lì è divenuta nostra Madre
e noi, redenti, rinasciamo come popolo di figli.
Comprendiamo infine che il mistero della solitudine, segno del Regno,
che talora ci troviamo a sperimentare,
è chiamato a esprimere anche in noi, Chiesa di Dio,
una fecondità che genera vita.

Riflessioni sulle letture della Veglia Pasquale (4 aprile)



Gen 1,1-2,3a - Gen 22,1-19 - Es 12,1-11 - Es 13,18b-14,8
Is 54,17c-55,11 - Is 1,16-19
At 2,22-28 - Rm 1,1-7 - Mt 28,1-7
 (riflessione sulle letture di mons. Cesare Pasini)

Universalità
* Il Preconio: «Tu hai consacrato la Pasqua per tutte le genti.
Una vittima sola ha offerto se stesso alla tua grandezza,
espiando una volta per sempre
il peccato di tutto il genere umano.
Per Adamo siamo nati alla morte;
ora, generati dall’acqua e dallo Spirito santo,
per Cristo rinasciamo alla vita.
Ecco: ogni culto antico tramonta, tutto per noi ridiventa nuovo.
Lo svolgersi di questa veglia santa
tutto abbraccia il mistero della nostra salvezza.
L’acqua ci fa nascere a vita nuova.
Infine, perché tutto il mistero si compia,
il popolo dei credenti si nutre di Cristo».
Riguarda tutte le genti, tutto il genere umano,
la discendenza di Adamo che ora rinasce in Cristo;
è un mistero di salvezza che abbraccia tutto,
è un mistero che si compie totalmente
facendo nascere a vita nuova nell’acqua battesimale
e nutrendo di Cristo il popolo dei credenti.
* Dopo la prima lettura (e la creazione di tutto:
«tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque,
tutti gli uccelli alati, tutti i rettili del suolo,
tutti gli animali selvatici»):
«L’universo abbattuto e decrepito risorge e si rinnova,
e tutto ritorna all’integrità primitiva in Cristo,
da cui tutto prese principio».
* Dopo il brano di Isacco offerto da Abramo
(«Si diranno benedette nella tua discendenza
tutte le nazioni della terra,
perché tu hai obbedito alla mia voce»):
«O Dio, Padre dei credenti,
che, offrendo a tutti gli uomini il dono della tua adozione,
moltiplichi nel mondo i figli della promessa
e nel mistero battesimale
rendi Abramo, secondo la tua parola, padre di tutte le genti,
concedi ai popoli che ti appartengono
di accogliere degnamente la grazia della tua chiamata».
* Dopo la quinta lettura: («O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate»):
« O Dio, che accresci sempre la tua Chiesa
chiamando nuovi figli da tutte le genti,
custodisci nella tua protezione
coloro che fai rinascere dall’acqua del battesimo».
Tutta la storia della salvezza, dai suoi inizi al compimento:
in particolare il battesimo, chiamata universale per tutti i popoli.
* Nella preghiera di benedizione dell’acqua:
«Sii benedetta per il Signore nostro Gesù Cristo,
acqua sorgente di vita,
che lasciò scaturire dal suo fianco insieme con il sangue,
per comandare infine ai suoi discepoli:
“Andate, portate il vangelo a tutte le genti
e battezzatele nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito santo.
Sii benedetta per l’efficacia dello Spirito santo,
o acqua pura e purificante,
perché essa possa dissipare ogni presenza diabolica,
ogni influsso del Maligno
e liberare chi sarà immerso in te per il battesimo
e gioioso in te rinascerà senza colpa».
Questa assemblea celebra l’universalità della salvezza
per la potenza di Cristo morto e risorto,
annunciato da Pietro a Gerusalemme il giorno di Pentecoste,
da Paolo nella lettera ai Romani,
dall’angelo alle donne il mattino di Pasqua.
Questa assemblea si unisce a tutte le veglie nel mondo,
alla Chiesa diffusa su tutta la terra
e ai battezzati di questa notte:
c’è una universalità che è più grande delle nostre debolezze e paure,
che è più forte delle nostre incapacità e di ogni violenza opposta,
che è mistero di grazia condivisa e di sostegno reciproco,
mistero di comunione nell’unico Spirito Santo che tutto vivifica.
In questa notte raccogliamo preghiere e invocazioni, prove e fatiche,
desideri di vangelo e di santità nell’animo di tanti credenti.
Fra i battezzati di questa notte desidero ricordare
una persona adulta in Giappone:
«In Giappone ‒ mi hanno scritto ‒ diventare cattolico
può talvolta produrre un qualche isolamento
dalla propria famiglia e dagli amici».
Ma la persona interessata (ormai battezzata) mi ha precisato:
«Sì, talvolta trovo difficoltà a essere cattolica in Giappone.
Ma d’ora in avanti, cercherò di pensare a voi