LETTURA
Lettura del libro di Ester 5, 1-1c. 2-5
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi. Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura. Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!».Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla.Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Amàn al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Amàn, per compiere quello che Ester ha detto». E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.
Riporto la sintesi del breve
testo di Ester che è prezioso per il mondo ebraico. “Durante una festa, l'imperatore persiano Assuero (Serse
I, 485-465 a.C) ripudia sua moglie Vasti (cap. 1), fino ad allora la
preferita. Al suo posto è fatta regina Ester (il cui nome ebraico è Adassa),
cugina e figlia adottiva dell'ebreo Mardocheo, che abita a Susa e discende da
una famiglia giudaica (cap. 2). In seguito il secondo dignitario dell'impero persiano
dopo l'imperatore, Aman l'Agaghita, progetta un colpo mortale contro gli
Ebrei, senza però sapere che la regina Ester è ebrea (cap. 3). Mardocheo spinge
Ester a intercedere per il popolo, per cui Assuero fa giustiziare Aman (capp.
4-7). Mardocheo diventa successore di Aman e insieme con Ester fa sì che il re
dei Persiani emani un nuovo editto che permette agli Ebrei di esercitare la legittima
difesa contro i loro nemici (cap. 8). Quando gli Ebrei sono perseguitati il 13
di Adar (forse l'8 marzo del 473 a.C), riescono a resistere e a vincere (cap.
9,1-19). A ricordo della salvezza degli Ebrei dallo sterminio, Ester e
Mardocheo istituiscono la festa di Purim (9,20-32). Per i Persiani e per il
popolo ebraico il governo di Mardocheo è assai fecondo di benedizioni (cap.
10).
Questo bellissimo testo,
continuamente riletto nella festa di Purim, ricostruisce la fiducia nel
Signore che protegge il suo popolo e
porta al ringraziamento per i risultati raggiunt, anche con il contributo intelligente e diverso dei personaggi che vi
partecipano..
Qui vengono riferiti solo alcuni
spunti di tutta la tragica situazione che si stava profilando. E se un nemico
giurato di Mardocheo, Aman, ottiene l'autorizzazione per attuare un pogrom (una
strage) contro il popolo ebraico, Ester, che vuole difendere il suo popolo,
invita il re e Aman a un banchetto e intercede per il proprio popolo. Il re,
finalmente, si ricorda della onestà di Mardocheo ( che lo aveva liberato da una
congiura) e condanna a morte Aman. Anzi i Giudei sono autorizzati ad opporsi
agli assalitori e punire i loro nemici nel giorno fissato da Aman per la
strage.
Da qui la commemorazione della
liberazione per le molte stragi che questo popolo ha subito, in particolare,
durante il nazismo. La regina osa disperatamente lottare per convincere il re
alla giustizia ed alla clemenza mentre la visione del re è come una
manifestazione potente e terribile di Dio: lo splendore, la gloria, la
bellezza. La regina aveva osato avvicinarsi al re senza essere stata chiamata e
questo aveva riempito di collera il re. Però davanti a sé non vede una
provocatrice, ma una persona debole, terrorizzata. Dio interviene (qui il testo
è omesso) e "volse a dolcezza l’animo del re:
ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia". Il re la consola, le
dice di essere "fratello (v. 9)" (garanzia di legame che rassicura
Ester, nonostante la sua origine ebraica), e parla il linguaggio dell'amore:
"la bacia (v 12)".
Il re garantisce che accoglierà qualunque richiesta di
Ester: "Fosse pure metà del mio regno, l'avrai" e questo ci ricorda
la morte di Giovanni Battista, causata da un altrettanto esigente giuramento,
fatto alla figlia di Erodiade (Salomé) in un banchetto. Certo l’intercessione
può avvenire per scopi di liberazione o per
scopi di distruzione.
EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-14
Fratelli, benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, / che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo / per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, / predestinandoci a essere per lui figli adottivi / mediante Gesù Cristo, / secondo il disegno d’amore della sua volontà, / a lode dello splendore della sua grazia, / di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. / In lui, mediante il suo sangue, / abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, / secondo la ricchezza della sua grazia. / Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi / con ogni sapienza e intelligenza, / facendoci conoscere il mistero della sua volontà, / secondo la benevolenza che in lui si era proposto / per il governo della pienezza dei tempi: / ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, / quelle nei cieli e quelle sulla terra. / In lui siamo stati fatti anche eredi, / predestinati – secondo il progetto di colui / che tutto opera secondo la sua volontà – / a essere lode della sua gloria, / noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, / dopo avere ascoltato la parola della verità, / il Vangelo della vostra salvezza, / e avere in esso creduto, / avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, / il quale è caparra della nostra eredità, / in attesa della completa redenzione / di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Questa lettera
riporta sicuramente le linee teologiche nello spirito di Paolo che è custode
fedele della rivelazione di Gesù e, tuttavia, si discute se la lettera sia
stata scritta (o dettata, come spesso avveniva) da Paolo stesso e, allora, si
tratterebbe di un testo che, tradizionalmente, viene collocato agli inizi degli
anni 60 durante la prigionia a Roma, o sia stata scritta da un discepolo
attorno agli anni 80- 90.
Siamo ad una
preghiera di benedizione (in ebraico “beraka”), costituta da un’unica frase
lunga 11 versetti, molto elaborata e molto complessa. Per fortuna le traduzioni
la spezzettano altrimenti è un solo
respiro nei vv 3-14. Paolo inizia dal Padre che sta nei cieli e che realizza,
alla fine dei tempi, le «benedizioni spirituali» che i versetti seguenti
esporranno nei particolari. A lui noi dobbiamo la lode, riconoscimento e
riconoscenza per ciò che ha fatto per noi. Ci ha benedetti con una benedizione
che è spirituale poiché viene dallo Spirito di Dio che è creatore ed efficace:
in Cristo poiché tutto passa attraverso Lui.
·
Prima benedizione: abbiamo
ricevuto la vocazione degli eletti alla vita beata, comunque già cominciata in
maniera mistica con l’unione dei fedeli a Cristo glorioso. La «carità» richiama,
prima di tutto l’amore di Dio per noi, che ispira la sua «elezione» e la sua
chiamata alla «santità» (cf.Col 3,12;1Ts 1,4;2Ts 2,13;Rm 11,28), ma poi attrae
anche il nostro amore per Dio, che ne deriva e gli risponde (cf.Rm 5,5).
·
Ef 1,5 Seconda
benedizione: siamo stati scelti per questa santità, come figli, fratelli di
quel Figlio unico, Gesù che è la fonte e
il modello (cf.Rm 8,29).
·
Ef 1,6 Ci ha fatti
grandi per quella grazia (in greco “charis”
) che significa il favore divino nella sua gratuità. Essa manifesta la «gloria»
stessa di Dio (cf.Es 24,16) poiché egli opera così per pura liberalità e la
pienezza della sua bellezza nella creazione. Tutto viene da lui e deve tornare
a lui, nel Figlio amato.
·
Ef 1,7 Terza
benedizione. Dio ci ha amato mediante la redenzione della croce di Cristo. E’
stato il Padre stesso che ci ha investito di questo amore totale.
·
Ef 1,9 Quarta
benedizione: Ci viene svelato il
«mistero» (Rm 16,25) di Dio: finalmente, nell’offerta totale di Gesù tutte le
realtà del cielo e della terra si riuniscono. La lettera garantisce che è Gesù
che rigenera e unisce sotto la sua
autorità ciò che il male ha disperso, corrompe e travolge. In questa
unificazione si riuniscono nella stessa
salvezza Giudei e pagani.
·
Ef 1,11 Quinta
benedizione: In lui, :in Cristo, si attua l’elezione di Israele, «eredità» di
Dio, e testimone nel mondo dell’attesa messianica. Paolo, che si sente parte
viva del popolo d’Israele, parla in
prima persona plurale: «noi».
·
Ef 1,13 Sesta
benedizione: scopriamo la chiamata dei pagani con cui, perciò,
condividiamo la salvezza già riservata a
Israele. :”Anche voi che avete ricevuto la Parola di Dio e l’avete creduta,
avete ricevuto il dono dello Spirito” Con la certezza dello Spirito promesso,.
si coronano l’esecuzione del piano divino e la sua esposizione in forma trinitaria. Iniziato fin d’ora in modo misterioso mentre il mondo antico dura ancora, sarà completo quando il regno di Dio si stabilirà in modo glorioso e definitivo, nella venuta gloriosa di Cristo (cf.Lc 24,49; Gv 1,33+;14,26). Così si compie la piena redenzione.
si coronano l’esecuzione del piano divino e la sua esposizione in forma trinitaria. Iniziato fin d’ora in modo misterioso mentre il mondo antico dura ancora, sarà completo quando il regno di Dio si stabilirà in modo glorioso e definitivo, nella venuta gloriosa di Cristo (cf.Lc 24,49; Gv 1,33+;14,26). Così si compie la piena redenzione.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
“Non hanno vino”.
Risuona la voce di Maria, madre
di Gesù, accorata e accorta. Che fine
farà la festa senza vino?
Non è una festa ufficiale,
altisonante, proclamata, ma la festa di due giovani (si suppone, secondo gli
usi dell’epoca nel mondo ebraico) che si sposano tra amici e parenti. Come può
all’improvviso mancare un elemento così necessario per garantire la gioiosità
di un evento così importante per la loro vita?
Maria se ne accorge e sa quello
che vuol dire questa mancanza in una festa così. E preme sul Figlio, sapendo in
cuor suo che nonostante l’apparente rifiuto di Gesù, qualcosa accadrà; difatti
dice ai servitori: “Qualsiasi cosa vi
dica, fatela!”
E Gesù, come sappiamo, fa
riempire d’acqua le enormi giare della purificazione: acqua che poi apparirà
trasformata in vino prelibato, tanto da suscitare la meraviglia del
sovrintendente il banchetto.
Mi fa pensare quest’acqua
trasformata in vino: è l’acqua abitualmente usata per le abluzioni rituali,
acqua usuale, comune, acqua della routine. Certo, l’acqua nella Scrittura ha sempre il significato
simbolico della vita; e qui il trasformarla in vino mi fa pensare, al di là
dell’episodio narrato, che se la vita perde il carattere di gioia, di festa, diventa
una cosa piatta, una delusione, un essere ridotta soltanto all’uso che se ne fa
o le si attribuisce.
Ed ecco la necessità di
trasformarla in vino, in qualcosa di
frizzante, di gioioso e di giocoso, proprio per poterne affrontare con coraggio
e serenità anche i momenti più tristi o le immancabili prove. Ci vuole un intervento, e Gesù interviene.
A Cana si festeggiano delle
nozze, cioè si festeggia la relazione così intima e così profonda tra due
persone che si vogliono bene e vogliono camminare insieme ed intrecciare le
proprie vite per dare vita, per inondare di vita il deserto cui spesso gli
esseri umani riducono l’esistenza.
Al di là delle
cerimonie rituali, al di là delle tradizioni e delle abitudini occorre
condividere il vino della creatività, della gioia, del sentirsi responsabili se
manca, dello stupore di fronte ad un possibile capovolgimento in meglio delle
situazioni.
Sentiamoci tutti a Cana
per partecipare ad una festa, al cui centro c’è la relazione, madre di tutte le
relazioni che dovrebbero intrecciare tra loro gli esseri umani.
Non a caso la Scrittura
fa delle nozze (pensiamo per tutte al Cantico dei Cantici) il modello e il
‘segno’ per eccellenza di ogni relazione, compresa quella con Dio.
E pensiamo che Cana non
è un episodio lontano, ma ci incalza nel
suggerirci che ogni relazione (e l’amore del prossimo che cos’è se non una
serie di relazioni sincere?) va sempre ravvivata con la passione della gioia e
dello sguardo che sa cogliere ogni fermento di trasformazione possibile anche nella
rete quotidiana di gesti e situazioni abituali.