Santa Pasqua (2016)

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 1, 1-8a 
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi».


Gli “Atti degli Apostoli” incominciano con l'esperienza di Gesù risorto nella piccola comunità degli amici: essi hanno creduto in Lui durante la vita pubblica ed hanno, fino alla fine, continuato a seguirlo, anche se, davanti alla croce, sono fuggiti.
- Luca, autore del libro degli “Atti”, inizia con una dedica: a “Teofilo, amante di Dio”, personaggio sconosciuto che può essere simbolico, rappresentando ogni credente o anche un personaggio reale. Luca pone un prezioso collegamento con il primo libro (il suo Vangelo) che è il racconto di quello che Gesù aveva fatto e insegnato fino alla sua "salita nei cieli". Ma, in questo inizio, Luca riprende il messaggio di Gesù, particolarmente finalizzato al significato di una Chiesa missionaria e responsabile della speranza del mondo.  I 40 giorni seguenti la risurrezione sono il tempo della Parola di Gesù risorto, in cui Egli parla del Regno. Ma qui il linguaggio di Gesù non solo riprende lo stesso spessore che aveva prima di morire, ma ora suscita anche echi e risonanze particolarmente profonde. Tutto il messaggio è come nuovo, da scoprire e maturare.
Perciò è tempo di cambiamento radicale di mentalità, non più legato al potere politico e militare, agli orizzonti del dominio sui popoli. La messianicità aveva acquistato  una  importanza inimmaginabile solo alcuni giorni prima. Con la sua morte Gesù aveva sfaldato ogni residuo di speranza sul piano del riscatto bellico. E tuttavia la sua risurrezione garantisce una rivincita inimmaginabile su ogni orizzonte dell’umano.
- Il messaggio più alto è proposto "a tavola": momento di condivisione, di gioia, di festa. Può essere un richiamo alla Messa dove la piccola comunità trova la chiarezza per i suoi progetti e il suo futuro. Ma è anche il momento quotidiano, "laico" della vita, dove rincontrarsi diventa vivo e nuovo. E’ il quotidiano, entro cui filtra la presenza del Signore. Il quotidiano  non è più disprezzato, svilito in confronto del sacro ma tutto diventa santo, ricettacolo di presenza e di segni.
- Ci sono ancora residui di attese,  di rivendicazione: “«Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?»: “La domanda di riscatto sociale è definitivamente smantellata dalle parole di Gesù che definisce i discepoli estranei "alla conoscenza dei tempi e dei momenti del Regno".
-I discepoli sono invitati ad attendere, a desiderare il dono dello Spirito: “Riceverete lo Spirito Santo che sarà assolutamente un dono nuovo e da Lui verrà la forza per affrontare i tempi e la fatica della testimonianza”. La risurrezione aiuterà a penetrare i misteri di Dio. La forza della Spirito costituirà garanzia della fedeltà se la si vorrà mantenere. Da oggi la Comunità cristiana è pronta a portare nel mondo una consapevolezza ed una presenza liberante inaudita, eppure sperimentata attraverso Gesù, morto solo e tradito da tutti tranne che da poche donne. Eppure Egli è tornato a rinsaldare la fede con misericordia e dolcezza infinita.
La cena della Pasqua ne è una garanzia.

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 3-10a
Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè / che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture / e che fu sepolto / e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture / e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.


Poiché  in questa lettera, scritta attorno al 57 d.C., Paolo vuole proporre una sintesi della sua predicazione, ma  anche vuole dare una risposta ai vari quesiti che la Comunità gli ha fatto pervenire ( 7,1),  fidandosi delle sue risposte significative nella fede e nelle scelte morali. In questo testo, verso la fine della trattazione, Paolo si preoccupa di parlare della risurrezione che è un argomento piuttosto ostico da accettare. Lo era anche nel mondo ebraico da parte dei Sadducei, casta sacerdotale appartenente a famiglie ricche presenti nella gestione del tempio: essi escludevano dal loro credo la risurrezione dei morti e vennero in polemica con Gesù stesso (Mt22,31); ma ancor più nella tradizione filosofica greca, debitrice dei miti orfici-platonici per cui l’anima, scintilla divina, era stata  rinchiusa nella prigione del corpo. Perciò per il mondo greco lo sforzo morale consisteva nel liberarsi dal corpo e dalle passioni che sono il corredo del corpo. Infatti, per i greci, la immortalità della  persona umana è solo immortalità dell’anima, finalmente libera. E quindi la risurrezione,secondo questa filosofia, condannerebbe la persona ad essere eternamente prigioniera del corpo e della sua opacità.
Con questo testo abbiamo conservato un documento prezioso sulla catechesi apostolica, con tutto il patrimonio di testimonianza e di linee teologiche in possesso della sapienza degli apostoli. Paolo garantisce che l’insegnamento, che sta proponendo, lo ha, a sua volta, “ricevuto”:  che cioè Gesù sia morto, sia stato sepolto e sia risorto. Tutta la tradizione profetica anticipava questi fatti che non erano totalmente imprevisti e tuttavia hanno ricevuto la loro luce e la significanza proprio dagli avvenimenti di cui sono stati testimoni gli apostoli e, per la risurrezione, anche molte altre persone. E’ la vita nuova testimoniata da più persone: Cefa, i dodici, i cinquecento, Giacomo e ancora tutti gli apostoli. Infine lo stesso Paolo è stato testimone  e riconosce in sé il cambiamento avvenuto, proprio grazie a questa verifica. Anzi proprio l’incontro con il risorto lo ha cambiato  e ringrazia Dio perché "la grazia in me non è stata vana". La risurrezione è troppo importante se si vuole affrontare  la novità di Dio. Dalla sua risurrezione dipendono la fede, il cambiamento di questo mondo, la garanzia di ciò che Gesù ha fatto e detto e quindi di ciò che Gesù è.
Per la Comunità cristiana l’annuncio della risurrezione e, di conseguenza, l’impostazione della vita di adulti credenti esigono cambiamenti radicali nel modo di pensare e di vivere. E se è importante conoscere e cogliere il cammino della umanità, con la sua fatica, la sua sapienza e le sue esigenze, come cristiani la risurrezione ci offre linee e prospettive più profonde di cui anche il non credente, forse senza rendersene conto, ne ha nostalgia. Perché la risurrezione è valore della vita. è rispetto, è dignità, è riconoscimento della bellezza di cui ogni persona è portatrice.
Il messaggio che Francesco I, pontefice dallo stile molto popolare e molto libero, ci propone di radicarci nella preghiera e nella fede, ci incoraggia a conoscere, a stare e a sostenere l’umanità in cui viviamo. I cristiani hanno molto da imparare ed hanno molto da portare.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 20, 11-18
In quel tempo. Maria di Màgdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.



Chi cerchi?”
La domanda di Gesù rincorre il dolore, il pianto di Maria di Magdala; travalica le sue stesse intenzioni.
Maria sta cercando l’Amico morto  per piangere su di esso, perché la morte, anche brutale, non riesce a scalfire i sentimenti, anzi li accresce, proprio per la consapevolezza fisica dello strappo, dell’ingiustizia.
La morte infatti di una persona cara ci sembra sempre non giusta, crudele. E il distacco concreto, fisico acuisce questa sensazione che ti svuota, che ti fa sembrare tutto un non-senso.

Ma la domanda di Gesù spiazza: non solo è rivolta all’amica, ma a tutti noi.  Infatti di fronte alla grande, immane tragedia dell’umanità che non solo muore, ma dà la morte, uccide ed è uccisa violentemente e senza pietà, interpella la vita.
Anche dentro la morte –e la morte violenta- c’è paradossalmente la vita, perché in essa c’è il Vivente: Gesù.

Occorre però avere il coraggio di  riproporsi e riproporre la domanda: “Chi cerchi?”
Cerchi solo il rimpianto, la ribellione, la nostalgia, una vicinanza sentimentale per affrontare l’improvviso vuoto e l’assalto dei ricordi e di tante occasioni mancate di relazione?
Oppure ti rifugi nella ripetizione di antichi riti e tradizioni?

Gesù invece ci dice con questa sue semplici, essenziali parole che si deve sempre cercare la vita che sopravvive alla morte, che ti porta oltre la morte in una dimensione inimmaginabile dove ogni lacrima sarà tersa e non ci sarà più né lutto né dolore né pianto né fatica.
 
Si deve sempre mantenere alta la speranza, anzi andare oltre ogni speranza per ritrovare la continuità di una presenza, di un’amicizia, di un amore che non può essere sepolto nel nulla. Ripensare alla vita confrontando il senso e il significato che tu le dai, non sempre opportunamente, con il senso e il significato che le ha dato e che propone Gesù.

Questo occorre dire, annunciare a tutte le creature (figli di Dio), che c’è Uno, il Vivente, che ci ha preceduto e ci precede sempre con la sorpresa di una vita nuove, donata da un Padre che ci vuole bene.

E’ dentro questa fede e questa speranza che ci possiamo scambiare gli auguri di vita della Pasqua.
E ascoltando Maria di Magdala, che corre ad annunciare il suo inenarrabile, incredibile incontro con Gesù, anche noi ci mettiamo a correre, inseguendo la domanda: ma tu, oggi, in questo momento della tua vita, chi cerchi? Stai davvero cercando Qualcuno che ti ridia slancio e bellezza? 
Chi è Gesù per te?  Lo stai veramente cercando come un Vivente che ti si fa incontro?

Per questo il richiamo della Pasqua è un impegno forte; gioioso sì, ma non di un’allegria effimera ed evasiva, bensì di una rinnovata fiducia in Gesù che è venuto a svelarci quel di più della vita che è la resurrezione.