SS. Trinità

Lettura del libro dell’Esodo 33, 18-23; 34, 5-7a

In quei giorni. Mosè disse al Signore: «Mostrami la tua gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere». Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni».
Nel testo che stiamo leggendo, quasi alla conclusione del libro dell'Esodo, viene messa in luce, fondamentalmente, la mediazione di Mosé e quindi la ricerca della presenza di Dio. Mosé. Il mediatore, vuole garantirsi , dopo la lacerazione dell’alleanza, che Dio non abbandoni il suo popolo. E, Dio gli offre la sua parola, la garanzia, poiché “lo ha conosciuto per nome”. (33,12), Il popolo di Dio può restare tranquillo poiché Dio non tradisce. Ma, insieme con questa presenza, per Mosé c'è la preoccupazione di capire come questo Dio si comporterà con coloro che lo hanno tradito e che non sono meritevoli di nessun perdono.
Così esiste un primo momento di comprensione e di garanzia dopo l'intercessione di Mosé. Il Signore invita a ripartire, mantenendo le promesse fatte ai patriarchi e il popolo può 'incamminarsi verso  la terra promessa, combatterà e vincerà "sei popoli" che in quel tempo sono presenti in Palestina (sei e non sette perché il popolo d'Israele avrà sempre dei nemici da combattere). Ma come guida Dio ha deciso di non essere, in prima persona, colui che conduce "perché sei un popolo di dura cervice". (33,1-3). Mosè non accetta perché ha maturato in sé una profonda fiducia e una particolare confidenza con Dio e lo conosce: "Parlava faccia a faccia come un uomo a un altro" (v11). Mosé interpone, allora, ancora una volta,  la sua mediazione e il Signore, per amor suo, acconsente: "Quanto hai detto, io farò" (v. 17).
Mosé allora osa ancora. "Mostrami la tua gloria" (v18). E’ una richiesta che non suppone rivalità o supponenza E’ un amore di comunione. Gloria corrisponde a ciò che Dio totalmente  è,  nel suo essere e pienezza.. Ma Mosè non può penetrare nella pienezza di Dio, poiché la richiesta esprime la pretesa di voler diventare Dio egli stesso. Il Signore non può essere conosciuto in questo modo, poiché Mosè supererebbe il limite della sua umanità e non reggerebbe a questo mare di fuoco. Tra gli ebrei esisteva la convinzione che “Chi vede Dio muore”. Anche all’origine del mondo (Gen 3,5) Adamo ed Eva hanno osato tentare la scalata alla divinità in rivalità con il proprio Creatore. Il tentatore aveva suggerito:”Non morirete affatto. Anzi Dio sa che il giorno in cui ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio” .
Il tentativo non è riuscito, ed essi divennero esseri soggetti alla morte.
Di Dio non è possibile conoscere la sua essenza ma la sua  grazia, la sua benevolenza: E questa è una rivelazione inimmaginabile se non venisse, come di fatto avviene, dalla bocca di Dio. Perciò Dio dice: “Sono compassionevole e clemente,paziente, misericordioso e fedele". Così Dio esprime, con la sua garanzia, la sua ricchezza di tenerezza, di fedeltà, di pazienza, di certezza di amore eterno.
La proposta molto curiosa è quella di concedere di vedere Dio di spalle e non di fronte. E’ un linguaggio culturale particolare che suppone messaggi.
Parlare faccia a faccia è un problema di voce e di ascolto, e Mosè lo vive con gioia, parlando con Dio. Il vedere il volto di Dio, invece, è escluso. E invece bisogna camminare dietro la guida, seguendola e “guardando le spalle”,  poiché Dio è guida, anticipa e fa strada.
Il Signore risponde: «Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo» (32,13-1
4).

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 1-9b

Fratelli, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.

Paolo, che ha descritto la condizione miserevole dell’uomo sotto la legge, sente il bisogno, insieme con l’impegno e l’urgenza, di descrivere la condizione del cristiano secondo lo Spirito.
Per aiutare a intravedere uno sviluppo della lettera, vanno tenute presenti le seguenti parti.
-       1,18-3,20: il mondo non cristiano è nel peccato;
-       3,21-4,25: il mondo credente matura una giustificazione da parte di Dio.
-       5,1-7,25 Dio viene a liberare dalla morte, dal peccato e dalla legge. Paolo inizia da subito (5,1 ss) a mostrare la rivelazione del dono della salvezza, mentre vengono indicati i frutti della giustificazione: la pace di Dio e la speranza: (5,11): “Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione”.
-       8,1 ss. Il popolo cristiano vive la sua esistenza “secondo lo Spirito”, anche se la vita continua ad essere soggetta alla morte (Rom 8,1-39). Il capitolo 8 è diviso in tre parti:
·      8,1-13 “La vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito” ( da qui sono tratti i versetti del testo di oggi),
·      8,14-30 “Figliolanza divina e gloria futura”,
·      8,31-39 “Inno all’amore di Dio”.
Così leggiamo l’inizio di questa splendida rivelazione sulla vita nuova che esalta l’opera di Dio in noi.
Liberazione significa dono della legge dello Spirito, sorgente di vita, di bene e di libertà, offerta a noi attraverso l’incarnazione di Gesù. L’uomo è impotente di fronte al peccato e alla morte poiché la legge di Dio, buona in sé e presente nella coscienza di ciascuno ( ma qui Paolo personalizza parlando della propria coscienza), ci chiarisce lo spessore del male, ci invita a superarlo, ma non dà la forza contro la legge del peccato. “Perciò è impossibile per me questa liberazione”.
Paolo ripensa al significato della vita e della morte di Gesù in rapporto alla fatica, all’incapacità e alla disperazione davanti al male. Egli ha maturato così il significato personale della presenza di Gesù.
Dio stesso ha provveduto “mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato. Egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.” (vv 3-4).
La vita, allora, viene richiamata come un cammino secondo lo Spirito, che opera una trasformazione radicale e ci rende giusti, liberi, figli di Dio mentre eravamo peccatori, schiavi, estranei a Lui. Questa trasfigurazione coinvolge il corpo con la risurrezione, coinvolge l’intelligenza e la volontà, finalmente, nel bene che diventa accessibile e desiderato, coinvolge lo stesso creato, devastato dall’uomo, incapace di rispettare i doni di Dio. Anche il creato è destinato a partecipare alla stessa gloria e alla stessa felicità della salvezza. (v 19 ss). Così Paolo sintetizza il suo messaggio, lasciandoci la possibilità di avere davanti agli occhi, lucidamente, la novità di Dio. “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” (v 9).
Così, in questo testo, in rapporto alla nostra liberazione, ci è stato offerto l’orizzonte infinito della Trinità che si prende cura di noi 
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 15, 24-27

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: “Mi hanno odiato senza ragione”. Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio».

Al di là della formula teologica astratta che abbiamo forse imparato al nostro catechismo di bambini, fredda e un po’ sibillina,  le letture bibliche ci propongono la riflessione e contemplazione del nostro Dio come un Dio che è amore.
E Dio, se è Amore, non può che vivere intensamente di relazione: la relazione all’interno del suo essere, che è vita profondissima e inestinguibile di rapporti scambievoli tra le tre persone che interagiscono in  Lui (ricordiamoci che il numero 3 rappresenta la perfezione, la completezza, il dinamismo reciproco).  
E’ il suo mistero, che ci manifesta attraverso Gesù suo figlio e il loro Spirito che agisce in noi, cha abita in noi.
Pensare alla Trinità e contemplarla significa allora  specchiarsi in qualcosa di appassionante, che ci dona il modello di relazioni calde, vive, intense, da viversi nelle nostre situazioni abituali e negli incontri; qualcosa non di formale o di ripetitivo, ma di vivace, sempre nuovo, allargato ad orizzonti infiniti.
Il breve brano del vangelo di oggi, tratto dal capitolo 15 di Giovanni, si trova in tutt’altro contesto (Gesù sta parlando ai discepoli mentre si avvia al Getsemani, dando loro nell’imminenza del suo distacco le ultime raccomandazioni, soprattutto l’appello accorato ad “amarsi” come Lui li ha amati); qui forse, nella liturgia di oggi è stato inserito, perché vengono citate tutt’e tre le persone della Trinità:  Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma l’invito che gli sta a cuore è la testimonianza che i discepoli devono dare di questo Amore  inesauribile che è in Dio, che è Dio.
Testimonianza che è trasparenza, che è desiderio, che è scelta, pur nella consapevolezza della propria  limitatezza.
Proprio come una goccia di pioggia sotto il sole o di rugiada, che riflette e diffonde, pur piccola com’è, una sorpresa di luce sfavillante e gioiosa.
Goccia di cielo, goccia di Dio.