Ultima Domenica dopo l'Epifania detta "del perdono"

LETTURA
Lettura del libro del Siracide 18, 11-14
Il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente. / Egli rimprovera, corregge, ammaestra / e guida come un pastore il suo gregge. / Ha pietà di chi si lascia istruire / e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.

Se il capitolo precedente (17, 20-27) incoraggia alla conversione al Signore:”Ritorna al Signore, e abbandona il peccato” (17,25), il capitolo 18 si apre in un canto di gioia verso il Dio misericordioso. E’ importante garantire, nella fragilità e nella debolezza, colui che faticosamente accetta di seguire il Signore e tutto il brano lo incoraggia. Proprio questa fragilità induce a compassione e a misericordia il Signore nella sua grandezza. Infatti è piccolo il tempo della vita: “(18, 9-10) Che cos'è l'uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male?Quanto al numero dei giorni dell'uomo, cento anni sono già molti, ma il sonno eterno di ognuno è imprevedibile a tutti”.
L’incoraggiamento, allora, si apre in una grande esperienza che fa ripercorrere la propria storia: con il Siracide siamo nel II secolo a.C. e la lunga esperienza di fatiche, di guerre, di deportazione e di sottomissioni fa ripensare a Dio in modo diverso.
Il clima della Scrittura, nei testi più recenti, sente il segno di un tempo nuovo e quindi, particolarmente, il tempo della misericordia. Vale per il libro di Giona (4,11): “E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».
Anche nella lotta di liberazione con i fratelli Maccabei del sec. II, se viene spesso fatto un confronto con i popoli pagani, ci si apre  alla fiducia del Signore il quale usa misericordia mentre mantiene la giustizia. (2Mac 6,14.16) “Poiché il Signore non si propone di agire con noi come fa con le altre nazioni, attendendo pazientemente il tempo di punirle… egli non ci toglie mai la sua misericordia, ma, correggendoci con le sventure, non abbandona il suo popolo”. Così anche Sap 12,19-22. “Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento. Se infatti i nemici dei tuoi figli, pur meritevoli di morte, tu hai punito con tanto riguardo e indulgenza, concedendo tempo e modo per allontanarsi dalla loro malvagità, con quanta maggiore attenzione hai giudicato i tuoi figli, con i cui padri concludesti, giurando, alleanze di così buone promesse! Mentre dunque correggi noi, tu colpisci i nostri nemici in tanti modi,  perché nel giudicare riflettiamo sulla tua bontà e ci aspettiamo misericordia, quando siamo giudicati”.
Questo testo, comunque, si allarga in un orizzonte universale. Se l’uomo può essere capace di misericordia, ma non può che limitarla al suo vicino che conosce (prossimo), Dio copre con la sua misericordia tutti gli uomini che ha creato  e si estende su ogni essere vivente.
Così tutto vive questo amore di Dio: ogni essere vivente porta i segni della vita come un regalo e una custodia che Dio offre. Certamente questa rivelazione è un segreto che solo il popolo di Dio conosce. E, ancor più, lo conosce il popolo cristiano che ha fatto esperienza della presenza di Gesù e della sua grandezza: Egli si è impoverito per stare con noi e comunicarci i segreti di Dio.
Ma questo amore è anche un amore educativo. “Egli rimprovera, corregge, ammaestra, e guida come un pastore il suo gregge” (v 13).  Quattro impegni che suppongono un universo educativo (numero 4): un dialogo, un apprendere, un capire ed un ubbidire maturando dalla propria esperienza e dalla parola del Signore stesso. L’incoraggiamento ad essere istruiti e zelanti per le decisioni di Dio sostiene la propria fiducia e la propria garanzia.
La Giornata della Solidarietà ci richiama alle tante fragilità delle persone, ai loro handicaps, alla mancanza di cultura, alla difficoltà di efficienza, ai limiti di adattamento, alle fragilità, alla mancanza di riconoscimento sociale, di permessi di soggiorno, di competenze.
Per ogni situazione importante che ci si renda conto, si accompagnino le persone perché raggiungano una loro autonomia.

EPISTOLA 
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 2, 5-11 
Fratelli, se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma, in parte almeno, senza esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior parte di voi, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; e anche per questo vi ho scritto, per mettere alla prova il vostro comportamento, se siete obbedienti in tutto. A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché ciò che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni.

Paolo, ormai anziano, soffre la propria stanchezza poiché non si sente accolto profondamente dai suoi e sopporta con fatica le persecuzioni, i tradimenti degli amici, le ambiguità e i sospetti che i fratelli spesso fanno emergere. Nei primi sette capitoli di questa lettera (capp1-7), di cui fa parte il breve testo di oggi, Paolo di difende da coloro che chiama i “superapostoli”, avversari che contestano la sua autorità di apostolo  (2 Cor 11,5).
Tuttavia, nel testo che leggiamo oggi Paolo offre un grande insegnamento di perdono alla sua comunità. Nei versetti immediatamente precedenti parla di una visita che aveva fatto a Corinto nella comunità e, in quella occasione, era stato gravemente offeso. E’ difficile ricostruire il fatto. Comunque, ritornato a Efeso, ha preferito scrivere una lettera  per chiarire la situazione (v 4). E’ la cosiddetta “lettera delle lacrime” che non ci è pervenuta. Poi Paolo voleva ritornare, ma vi aveva rinunciato "solo per risparmiarvi". Il rinvio infatti è stato una scelta di discrezione e di saggezza (1,23), altrimenti avrebbe dovuto "venire con tristezza" (2,1).
Di questo offensore anonimo non si sa nulla, né si sa che cosa sia successo. Comunque, tornata la calma, dopo che la comunità ha isolato l’offensore e lo ha castigato, Paolo chiede di perdonare e di accoglierlo nella comunità poiché si è ravveduto e si è sottomesso. E questo perdono Paolo lo offre lui stesso volentieri. Nel versetto 11 si fa esplicito riferimento a Satana. Egli vuole impedire l'azione missionaria dell'annuncio della fede e il metodo migliore per ostacolare l’annuncio è arrivare a seminare discordia e divisione di animi (“per non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni”).
Nel perdono viene anche ricordata la possibilità di riprendere la speranza e di ricuperare un cammino di fiducia. Il perdono è proprio di Dio per aiutarci a riprendere il nostro percorso senza abbandonare o disperarci. Il perdono ricupera la solidarietà e aiuta l'altro a sentirsi in un popolo di fratelli e sorelle che sanno capire e sanno accogliere.
Il perdono ricupera splendore  e apre orizzonti imprevisti.
La Giornata della Solidarietà dovrebbe aiutare a ripensare ai rapporti che si mantengono nei luoghi di lavoro. Sono troppo facili la lamentela, la critica, il rancore e la gelosia. Ci sono troppe manovre e competizioni per la carriera e difficilmente si percepisce che è un dovere di coscienza costruire un clima di serenità e di pace. Non tutti sanno sufficientemente reggere rapporti difficili, ma chi ha il dono di un carattere più elastico e più sereno, aiuti i colleghi a reggere. Spesso il modo migliore è intervenire quando l’altro è in difficoltà ed offrire in amicizia un contributo di tempo e di competenza. Se si può.

VANGELO 
Lettura del Vangelo secondo Luca 19, 1-10 
In quel tempo. Il Signore Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


E’ intraprendente  Zaccheo.  Ed ha un grande desiderio: vedere Gesù. Ma c’è molta folla mentre attraversa la città e lui è piccolo di statura.
Comunque non si dà per vinto: corre avanti e sale su un albero.
In questa situazione non ha nessun valore l’essere potente (è capo dei pubblicani, cioè di tutti gli esattori di Gerico) e l’essere molto ricco.
E’ solo un piccolo uomo con un grande desiderio: vedere quel Gesù di cui tanto si parla. Gesù invece lo previene: è tutto uno scambio di sguardi; anzi, gli dice che si fermerà a casa sua. 

Ma come? Lui che è considerato un pubblico peccatore data la funzione che esercita di collaborazionista dei Romani  e la  conseguente ricchezza ingiusta a danno dei poveracci sottoposti a tributo,  è oggetto dell’attenzione di Gesù che in questo modo lo riabilita agli occhi della gente?

E’ scosso fino in fondo da questa attenzione e dalla considerazione che anche in lui, povero peccatore ci possa essere speranza di bene.  E così si converte, riequilibrando concretamente le sue vessazioni con la restituzione del quadruplo a chi ha taglieggiato e donando la metà dei suoi beni ai poveri. Ha capito che le ricchezze non sono esclusive, ma vanno messe in circolazione e condivise con chi è più svantaggiato.

Nelle parole e nel gesto di Gesù, che vuole fermarsi a casa di Zaccheo mi pare ci sia il senso del ‘perdono’:  è, come dice il suo significato, un surplus di dono, un dono eccedente, che consiste nel dare importanza anche a chi sbaglia, puntando sulla sua possibilità di essere smosso a riprendere un cammino decisamente in linea con lo sguardo di Gesù.

E’ importante sottolineare che Gesù non lo accusa di niente, gli fa presente un desiderio pressante: “oggi devo fermarmi a casa tua”.
“Il pubblicano  Zaccheo –come scrive Bruno Maggioni- è la figura del discepolo che non lascia tutto, come invece altri, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (restituisco quattro volte tanto) e la condivisione con i bisognosi (dò la metà dei miei beni).  C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno, e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene.”

E’ bello pensare che, se ci sentiamo piccoli – e di fatto lo siamo- e desideriamo vedere Gesù, Lui ci previene dicendo “oggi devo fermarmi a casa tua”.
A questo punto vale la pena pensare se ci comporteremmo gioiosamente come Zaccheo.